Cerca

Attualità

Torino perde un altro pezzo: Cerence chiude, 54 licenziamenti e uno schiaffo che fa male

La multinazionale americana lascia strada del Lionetto, colpito non solo l’indotto auto ma anche le nuove tecnologie. Sindacati in rivolta: «Comune e Regione intervengano»

Torino perde un altro pezzo

Torino perde un altro pezzo (foto archivio)

La crisi dell’automotive non risparmia più nessuno. Neppure chi, come la Cerence, non produce auto né componentistica, ma intelligenza artificiale applicata all’automotive. Un settore che, paradossalmente, dovrebbe essere tra i più in crescita al mondo. E invece, da ieri, la sede di strada del Lionetto 6 ha ricevuto la comunicazione ufficiale: la multinazionale americana chiude i battenti a Torino e avvia la procedura di licenziamento collettivo per tutti i 54 dipendenti. Una notizia che cade come un macigno su una città già provata dalle incertezze di Stellantis a Mirafiori, dalle chiusure di stabilimenti come la Algo Group di Orbassano e da un tessuto industriale che non riesce a trovare un punto di ripartenza.

Secondo la direzione, si tratta di una scelta aziendale inevitabile. Ma i sindacati leggono la vicenda in modo diverso. Per Ivan Corvasce (Slc Cgil) e Anna De Bella (Fistel Cisl Piemonte) la chiusura non è dovuta a un calo di mercato, perché il settore AI non è in crisi. «È evidente – denunciano – che la decisione nasce dall’incapacità del nostro Paese di rendersi attrattivo per nuove esperienze professionali e per investimenti di lungo periodo. Torino si candida a essere un polo strategico nazionale per l’intelligenza artificiale, ma il messaggio che arriva è l’esatto contrario».

La lettura è chiara: se le aziende hi-tech abbandonano Torino, nonostante un mercato in espansione, allora il problema non è tecnologico ma politico e di contesto. Significa che il territorio non riesce più a garantire condizioni vantaggiose, né sul piano fiscale né su quello infrastrutturale, per trattenere competenze che altrove trovano terreno fertile. Un campanello d’allarme che va ben oltre i 54 posti persi: è il rischio di vedere dissolversi l’idea stessa di una Torino hub dell’AI, tanto sbandierata negli ultimi anni.

I lavoratori hanno già annunciato un pacchetto di 24 ore di sciopero per protestare contro la decisione, chiedendo alle istituzioni locali – Comune e Regione – di intervenire con forza. «Non è accettabile che Torino diventi una terra di chiusure e dismissioni – spiegano i sindacati –. La progressiva crisi del comparto auto non colpisce più solo l’indotto manifatturiero, ma ora anche le nuove frontiere del settore, come i sistemi intelligenti di interazione tra uomo e macchina».

La ferita si innesta su un quadro già complesso. A Mirafiori gli operai in cassa integrazione hanno ricevuto la proposta di lavorare in Serbia per 70 euro al giorno per la produzione della Grande Panda, mentre si attende ancora l’avvio concreto della Fiat 500 ibrida. A Orbassano, con la chiusura di Algo Group, altri 26 operai sono rimasti senza lavoro. In pochi mesi, decine di famiglie torinesi hanno visto svanire posti fissi e competenze costruite in anni di esperienza.

Il caso Cerence, però, ha un peso simbolico ancora più forte: non si tratta di una fabbrica, ma di un centro di ricerca e sviluppo. Una sede che lavorava a progetti di AI conversazionale per l’automotive, esattamente il settore che, secondo tutte le analisi internazionali, sarà centrale nei prossimi anni. Se persino una realtà simile decide di chiudere in Italia e spostare altrove i propri investimenti, il rischio è che il Paese rimanga tagliato fuori dalle catene globali dell’innovazione.

Per Torino, città che per decenni è stata capitale industriale, la questione diventa anche di identità. Non bastano slogan o convegni sulla “città dell’intelligenza artificiale”: servono politiche concrete, incentivi, infrastrutture digitali e piani di sostegno all’occupazione qualificata. Senza questo, le multinazionali preferiranno altre piazze europee, lasciando dietro di sé solo capannoni vuoti e lavoratori licenziati.

Intanto, sul piano sociale, i 54 dipendenti della Cerence si ritrovano in un limbo. Molti hanno competenze tecniche elevate e specializzate, ma reinserirsi nel mercato locale potrebbe non essere semplice. La mancanza di altre aziende disposte ad assorbire queste professionalità rischia di trasformare una ricchezza in una dispersione. Ed è per questo che i sindacati chiedono un intervento urgente: salvaguardare i posti di lavoro e impedire che la città perda un altro tassello del proprio futuro industriale.

Nei prossimi giorni verrà chiesto un incontro con Comune e Regione Piemonte, con l’obiettivo di aprire un tavolo e verificare possibili soluzioni. Ma la partita appare complicata: senza la volontà della multinazionale di rivedere la propria decisione, lo spazio di manovra resta limitato. Eppure, proprio per questo, la vicenda diventa un test politico per le istituzioni locali. O si riesce a dare un segnale concreto di difesa del lavoro, o Torino rischia di passare come città incapace di trattenere innovazione e sviluppo.

Il caso Cerence segna un punto di svolta amaro. La crisi dell’auto, partita dai tagli in Stellantis e proseguita con la chiusura di stabilimenti satelliti, ora “contagia” anche l’intelligenza artificiale. Non è più solo l’industria tradizionale a cedere, ma anche quella che avrebbe dovuto rappresentare il futuro. È questa la vera emergenza che Torino si trova ad affrontare: non solo salvare posti di lavoro oggi, ma soprattutto evitare che l’idea di una città tecnologica, attrattiva e innovativa resti un miraggio.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori