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08 Settembre 2025 - 11:21
Sinner perde, ma si consolerà con il ricco montepremi che spetta al finalista degli US Open
Lo US Open 2025 non sarà ricordato soltanto per le sfide sul cemento blu di Flushing Meadows, ma passerà agli annali come l’edizione che ha infranto ogni primato economico nella storia del tennis. Con un montepremi complessivo di 90 milioni di dollari, il torneo newyorkese ha staccato nettamente Wimbledon e gli altri Slam, confermandosi la competizione più ricca e ambita del circuito.
Un’accelerata del 20% rispetto al 2024, che già aveva fissato l’asticella a 75 milioni, fa comprendere la portata di un evento che non è solo sport ma anche gigantesca macchina finanziaria. Un tesoretto che non premia soltanto i campioni destinati a sollevare il trofeo, ma che garantisce guadagni consistenti anche a chi esce ai primi turni, offrendo così un sostegno concreto a quella fascia di tennisti che, pur vivendo di professionismo, spesso fatica a coprire spese e trasferte.
I dati parlano da soli. I vincitori del singolare maschile e femminile incasseranno 5 milioni di dollari ciascuno: un incremento del 39% rispetto al 2024, quando Jannik Sinner aveva portato a casa 3,85 milioni dopo la finale vinta contro Taylor Fritz. La cifra non fa differenze di genere: da oltre cinquant’anni, infatti, lo US Open garantisce parità di montepremi tra uomini e donne, una scelta storica presa nel 1973 dopo la battaglia di Billie Jean King, che minacciò il boicottaggio del torneo fino a ottenere la parità.
Oggi quella scelta è diventata tradizione, mentre gli altri Slam hanno raggiunto la parità solo nei primi anni Duemila. Per i finalisti l’assegno vale 2,5 milioni, per i semifinalisti 1,26 milioni, per chi si ferma ai quarti 660mila dollari. Anche un ottavo di finale garantisce 400mila dollari, un terzo turno 237mila, un secondo turno 154mila. Persino chi si ferma al primo turno incassa 110mila dollari, una cifra che per molti professionisti rappresenta la differenza tra la sopravvivenza sportiva e il rischio di abbandonare il circuito.
Un occhio di riguardo è stato dato anche alle qualificazioni: 27.500 dollari al primo turno, 41.800 al secondo, 57.200 al terzo. In pratica, anche senza entrare nel tabellone principale, un tennista può portarsi a casa un introito capace di finanziare settimane di allenamenti e viaggi.
Per capire quanto sia cambiato il tennis basta guardare ai numeri del passato. Nel 1968, primo anno dell’“era Open”, il vincitore del singolare maschile intascava 98mila dollari, mentre la campionessa femminile si fermava a 42mila. Solo cinque anni dopo arrivò la parità a 135mila dollari.
Il montepremi complessivo toccò il milione nel 1984 e rimase sotto i 10 milioni fino alla fine degli anni Novanta. Fu con l’arrivo del nuovo millennio che lo US Open conobbe il vero boom: da 7,5 milioni a 15 milioni in una sola stagione, un raddoppio che anticipava la corsa vertiginosa degli anni seguenti. Nel 2010 si era a quota 22 milioni, nel 2017 a 50, nel 2022 a 60. Oggi, con i 90 milioni del 2025, il torneo americano ha consolidato il suo primato globale.
Un grafico di questo percorso mostrerebbe un’impennata verticale negli ultimi dieci anni, trainata da sponsor, diritti tv e biglietti.
La domanda è inevitabile: come si finanzia un montepremi simile? La risposta sta negli introiti record della USTA, l’associazione che organizza il torneo. Nel 2023, il bilancio ufficiale registrava 514 milioni di dollari di entrate, a fronte di 260 milioni di spese.
Il grosso arriva dalla biglietteria: oltre 185 milioni solo dagli accessi al complesso di Flushing Meadows. Poi ci sono i diritti televisivi, che valgono 143 milioni, gli sponsor commerciali (122 milioni) e il capitolo merchandising e ospitalità, che porta in cassa circa 71 milioni.
Cifre da capogiro che spiegano come lo US Open riesca non solo a finanziare premi così alti, ma anche a consolidare la propria immagine di evento globale, capace di attrarre milioni di spettatori davanti alla tv e centinaia di migliaia di presenze a New York durante le due settimane di gare.
Non solo singolare. Anche i tornei di doppio dello US Open hanno raggiunto cifre mai toccate prima. Per il maschile e il femminile il montepremi complessivo è di 14,2 milioni di dollari.
I vincitori incassano 1 milione di dollari a coppia, i finalisti 500mila, i semifinalisti 250mila, fino ai 30mila garantiti già al primo turno. Numeri che fanno impressione se paragonati a quanto offerto da altri Slam, che su questo fronte restano molto più indietro.
Stesso discorso per il doppio misto, con un premio da 1 milione ai vincitori, 400mila ai finalisti e 200mila ai semifinalisti. Persino chi si ferma subito riceve 20mila dollari, una cifra significativa per una specialità spesso considerata minore ma che negli Stati Uniti trova da sempre un suo pubblico affezionato.
L’aumento del montepremi non ha solo un valore simbolico. Per molti giocatori, in particolare quelli che non rientrano nella top 20, la possibilità di incassare somme importanti anche con eliminazioni ai primi turni rappresenta un sostegno fondamentale per la carriera.
Le spese di un professionista medio – staff tecnico, viaggi intercontinentali, attrezzature – possono superare facilmente i 200mila dollari all’anno. Fino a pochi anni fa, chi non riusciva a vincere tornei o ad arrivare almeno agli ottavi negli Slam rischiava di non rientrare dei costi. Oggi, invece, anche un secondo turno allo US Open consente di incassare 154mila dollari, coprendo mesi di attività.
Questa politica non è solo un gesto di equità, ma un investimento sulla sostenibilità del tennis. Più giocatori riescono a mantenersi economicamente, più alto sarà il livello complessivo del circuito.
Lo US Open è diventato negli anni molto più di un torneo di tennis. È un evento-spettacolo che miscela sport, musica, moda e intrattenimento. Flushing Meadows è un luogo che ospita non solo le partite ma anche concerti, eventi collaterali e spazi per sponsor e ospiti vip.
Il pubblico americano, abituato ai grandi show sportivi, trova nello US Open l’incarnazione perfetta del modello sportivo-business: partite in notturna sotto i riflettori, arene che diventano teatri di emozioni e una comunicazione globale capace di trasformare ogni match in un prodotto televisivo.
Non stupisce che le entrate superino i 500 milioni di dollari: lo Slam di New York è una macchina che valorizza al massimo ogni aspetto, dal marketing digitale alla vendita dei gadget, fino alle esperienze premium per gli spettatori.
C’è poi l’aspetto simbolico. Lo US Open resta lo Slam che ha fatto della parità di genere una bandiera molto prima degli altri. La decisione del 1973, nata dal gesto coraggioso di Billie Jean King, continua a essere un faro per il tennis mondiale.
Ma è anche lo Slam che più di tutti si lega alle storie personali. Nel 2024 è stato Jannik Sinner a scrivere una pagina indimenticabile per l’Italia, battendo Taylor Fritz in finale e conquistando il suo primo titolo a New York. Quest’anno l’altoatesino, insieme a Lorenzo Musetti e agli altri azzurri, proverà l’assalto al jackpot da 5 milioni.
Lo US Open 2025 segna una svolta. Con i suoi 90 milioni di dollari di montepremi, non è solo il torneo più ricco della storia del tennis: è un manifesto di come lo sport, quando diventa spettacolo globale, possa generare ricchezza e al tempo stesso redistribuirla in modo più equo.
Il rischio, naturalmente, è che l’enfasi sui numeri finisca per oscurare il lato agonistico. Ma i giocatori stessi sanno che senza questo sostegno economico molti di loro non riuscirebbero a reggere il peso di una carriera internazionale.
Per i tifosi resta l’attesa delle grandi sfide sul cemento di New York. Per gli addetti ai lavori, lo US Open diventa il modello a cui guardare, il laboratorio di un tennis che non è più soltanto sport, ma anche industria culturale e intrattenimento.
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