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Tempesta e retromarcia a Barcellona, la Global Sumud Flotilla costretta a riprogrammare la rotta

Venti oltre i 30 nodi costringono al rientro la missione partita dalla Catalogna: riunioni per ripartire già nel pomeriggio, mentre le barche italiane proseguono verso la Sicilia per la ripartenza

Tempesta e retromarcia a Barcellona, la Global Sumud Flotilla costretta a riprogrammare la rotta

Il mare, questa volta, ha imposto il suo verdetto. La Global Sumud Flotilla, presentata come la più grande missione umanitaria via mare degli ultimi anni, è stata costretta a rientrare a Barcellona poche ore dopo la partenza dal Moll de la Fusta a causa di un improvviso peggioramento delle condizioni meteo: raffiche sui 30 nodi hanno reso la navigazione rischiosa, soprattutto per le imbarcazioni più piccole, e gli organizzatori hanno scelto la prudenza. Una pausa tecnica, non un ripensamento. La macchina resta accesa: riunioni serrate per ridisegnare i tempi e, se il meteo lo consente, ripartenza già nel primo pomeriggio di lunedì 1° settembre.

Il progetto resta identico nella sostanza e nelle ambizioni: rompere il blocco navale su Gaza e consegnare oltre 200 tonnellate di aiuticibo e farmaci — con una flotta civile che mette insieme 44 Paesi, 50 barche e più di 500 attivisti. La delegazione italiana, salpata dal porto di Genova, non si ferma: ha confermato la rotta verso la Sicilia con approdo previsto il 4 settembre, data-chiave per la messa in acqua dei convogli in partenza anche da Tunisi. L’adattamento è parte dell’itinerario: gli organizzatori hanno rimodulato i piani delle unità provenienti da Genova, Sicilia, Tunisi e Grecia per mantenere coerente l’arrivo in Mediterraneo centrale, dove la flotta congiunta dovrà compattarsi prima di puntare le coste della Striscia seguendo esclusivamente acque internazionali.

Dentro questa geografia c’è anche il Canavese. C’è Ivrea, che mette un nome e una storia nel mosaico del convoglio: Francesco Giglio, consigliere comunale eporediese, ha dato la disponibilità a entrare nell’operazione con supporto logistico terrestre e, se necessario, presenza a bordo. Una disponibilità concreta, maturata tra test selettivi — anche la capacità di navigare senza strumentazione elettronica in caso di disturbi ai sistemi satellitari — e una serie di cambi di rotta imposti dall’organizzazione: Toscana, Civitavecchia, Napoli, Stromboli, Catania, in una sequenza che racconta la mobilità permanente di un’azione civile che si confronta con imprevisti, tempi stretti e un avversario non secondario: il mare.

Francesco Giglio

Il calendario resta il vero terreno di battaglia. La finestra meteo aperta a cavallo di fine agosto si è chiusa bruscamente, ma l’obiettivo non si sposta. La Global Sumud Flotilla rivendica un’azione pacifica e umanitaria, e lo fa mentre si moltiplicano le minacce: il ministro israeliano della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha annunciato la volontà di trattare gli attivisti come terroristi, prospettando detenzioni e confische delle imbarcazioni. Dall’Italia la risposta ufficiale della portavoce Maria Elena Delia rivendica la legalità della missione in acque internazionali e chiama in causa il governo italiano perché garantisca la tutela dei propri cittadini. La contesa, dunque, non è solo sulle onde, ma anche sul terreno diplomatico. E mentre alcuni esecutivi europei — è il caso del Portogallo — prendono le distanze, altre voci della società civile fanno massa critica.

Il peso simbolico dell’operazione cresce anche grazie a sostegni pubblici che travalicano l’attivismo militante. Alessandro Barbero, lo storico più popolare del Paese, ha legato il proprio nome a un appello senza giri di parole: «Che il mondo assista tutti i giorni ai crimini del governo israeliano senza quasi reagire è una cosa di cui ci vergogniamo e ci vergogneremo ancora di più in futuro». Parole che fanno da contrappunto a una memoria tragica che tutti a bordo conoscono: nel 2010 la nave turca Mavi Marmara, parte della Freedom Flotilla, fu abbordata in acque internazionali; nove attivisti furono uccisi. Oggi la scorta dei media è più ampia — decine di giornalisti distribuiti sulle varie imbarcazioni — e l’opinione pubblica osserva con attenzione. Ma la domanda di fondo resta: come reagirà Israele davanti a barche civili cariche di generi salvavita?

Intanto, l’Italia conta i numeri di una mobilitazione capillare. A Genova, con il supporto dell’associazione Music for Peace, in cinque giorni sono state raccolte 80 tonnellate di aiuti: alimenti ad alto valore nutritivo, miele, farmaci scelti per essere assorbiti facilmente da una popolazione che convive con la fame da mesi. È l’altra metà della missione: quella che non si vede dalla banchina, ma che spiega perché ogni ora persa pesi come un ritardo umano oltre che logistico.

La Global Sumud Flotilla non promette di cambiare gli equilibri geopolitici. Promette, invece, di accendere un riflettore su un assedio che dura da quasi due decenni e su una crisi umanitaria che ha portato il tasso di malnutrizione infantile a crescere drammaticamente in pochi mesi. Nella narrazione ufficiale il blocco marittimo israeliano — in vigore dal 2007 — è pensato per limitare traffici e armi verso Hamas; per gli attivisti, i civili pagano il prezzo più alto. Nel mezzo, rotte da tracciare evitando scontri, diritto internazionale da invocare, onde da interpretare.

Il lessico della missione è contenuto nel suo nome: Sumud, tenacia che non concede slogan facili. Da Greta Thunberg ad Ada Colau, da Liam Cunningham a volti noti dello spettacolo italiano come Isabella Ferrari, Nina Zilli, Fiorella Mannoia, l’elenco dei sostenitori racconta la trasversalità di un consenso che unisce medici, avvocati, marinai, sacerdoti, giuristi e artisti. Ma il cuore dell’operazione non è la visibilità. È la rotta. Barcellona come punto di ripartenza una volta calato il vento; Genova, Catania, Siracusa come corridoi logistici; Sicilia e Tunisi come hub del 4 settembre, quando il convoglio mediterraneo dovrebbe ricomporsi per tentare il passaggio.

Da Ivrea, intanto, Francesco Giglio resta agganciato a un filo diretto con gli organizzatori: supporto a terra, disponibilità a salire a bordo se servirà, prontezza nel seguire istruzioni che cambiano con il meteo e con le misure di sicurezza. È la misura minima e insieme massima di questa vicenda: scelte individuali che, sommate, generano un gesto collettivo. Non solo aiuti. Non solo un assedio da contestare con la forza tranquilla del diritto. Anche una dichiarazione sul tipo di società che vogliamo essere, su quale silenzio rompere e quale rotta indicare quando il vento cambia e il mare si increspa.

Se la tempesta ha imposto un ritorno in porto, la navigazione — per ora — non è annullata. È soltanto rimandata di ore, regolata su previsioni meteo e incastri operativi. Tra Barcellona e Sicilia, tra riunioni e vele da issare, resta il tesoro fragile di un carico destinato a vite fragili. Il resto è una domanda che attraversa il Mediterraneo e ci riguarda: quando il mare lo consente, chi riparte? E verso dove? Qui, una risposta c’è già: si riparte non appena possibile, con rotte ricalcolate e occhi puntati sul 4 settembre.

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