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Frana sotto osservazione nel Canavese: versante instabile sorvegliato con nuovi monitoraggi, dopo le piogge

Investiti 11.200 euro l’anno per controllare la collina verso la Dora, mentre i cittadini convivono con una minaccia che dura dal 1994

Frana sotto osservazione

Frana sotto osservazione nel Canavese: versante instabile sorvegliato con nuovi monitoraggi dopo le piogge (foto archivio)

A Mazzè il versante collinare della località Rocca, che degrada verso la Dora Baltea a nord del castello, resta un sorvegliato speciale. La frana che interessa l’area, classificata come attiva fin dagli anni Novanta, continua a destare preoccupazione ed è al centro di un piano di monitoraggio costante. Le ultime piogge intense di aprile hanno peggiorato la situazione, spingendo il Comune a potenziare i controlli con nuovi strumenti per garantire la sicurezza dei residenti e preservare un contesto che include abitazioni e lo stesso complesso del castello.

Il sindaco Marco Formia ha definito il monitoraggio “indispensabile”, perché non solo consente di verificare in tempo reale i movimenti del terreno, ma permette anche di valutare se e quando saranno necessari ulteriori interventi di consolidamento. L’amministrazione ha stanziato 11.200 euro l’anno per quattro anni, affidando alla ditta Asgeo un pacchetto di indagini geofisiche e di monitoraggio avanzato. Il programma prevede l’installazione di tre inclinometri biassiali con sistema di scansione oraria delle misure, la realizzazione di tre capisaldi di controllo collegati alla trave di sostegno dei micropali già presenti e un caposaldo esterno di riferimento. Ogni spostamento significativo dovrà essere segnalato immediatamente, mentre i dati saranno raccolti in report bimestrali.

Il sistema di controllo attualmente in uso risale al 2021, quando furono collocati i primi quattro inclinometri. La necessità di rafforzarlo oggi è conseguenza di un peggioramento evidente del quadro, confermato anche dalle verifiche condotte dal geologo Pier Carlo Bocca, che aveva già studiato l’area in occasione dell’alluvione del 1994. Fu proprio in seguito a quell’evento disastroso, che mise in ginocchio il Canavese, che partirono i primi lavori di consolidamento: paratie di micropali a protezione del ciglio della scarpata, interventi di riassetto del terreno e sistemi antierosivi. Un pacchetto di opere che ha ridotto i rischi più immediati, ma non ha potuto arrestare del tutto un processo di degrado idrogeologico che è strutturale.

Secondo gli studi condotti in questi decenni, il movimento franoso che minaccia la Rocca di Mazzè è composto principalmente da pietrisco e terra e può riattivarsi in presenza di precipitazioni particolarmente intense. Le piogge, infiltrandosi in profondità, destabilizzano la massa di terreno e innescano nuovi smottamenti. Già oggi alla base del pendio sono visibili accumuli franosi che testimoniano fenomeni di distacco frequenti. Il versante, che dalla Cima Bicocca si estende verso sud coinvolgendo piazza Camino, Prola e parte delle abitazioni situate più a nord, è sottoposto a processi gravitativi di arretramento del ciglio della scarpata.

Il quadro descritto dalle indagini geomorfologiche parla di un territorio segnato da erosione accelerata e da un degrado idrogeologico diffuso. L’area del Castello, in particolare, è soggetta a una continua evoluzione morfodinamica del versante: per questa ragione negli anni i proprietari hanno dovuto effettuare direttamente interventi di sistemazione e consolidamento delle strutture di fondazione.

Il monitoraggio in corso rappresenta dunque un tassello fondamentale di un piano di prevenzione più ampio. Le risorse stanziate non servono solo a raccogliere dati, ma a costruire un quadro aggiornato e scientificamente attendibile delle condizioni del versante. Solo così, spiegano i tecnici, sarà possibile pianificare interventi mirati e ridurre i rischi per chi vive a monte delle opere di contenimento.

La questione ha assunto anche un risvolto politico, con il gruppo di minoranza in consiglio comunale che ha presentato un’interrogazione per chiedere chiarimenti e ulteriori approfondimenti. Le opposizioni sollecitano maggiore trasparenza sui dati raccolti e una valutazione condivisa delle misure da adottare. È la conferma che il tema non riguarda solo la sfera tecnica, ma tocca da vicino la sensibilità di un’intera comunità che convive da decenni con la consapevolezza di un rischio latente.

L’esperienza del 1994 resta un monito indelebile: in quell’occasione, l’alluvione travolse vaste aree del Piemonte, compreso il Canavese, e portò all’attenzione pubblica la fragilità di un territorio in cui fiumi e versanti collinari convivono in equilibrio precario. Da allora, pur con interventi strutturali e monitoraggi continui, la frana della Rocca di Mazzè non ha mai cessato di essere considerata una minaccia.

Oggi il Comune sceglie la strada del monitoraggio tecnologico e della prevenzione. Ma resta evidente che, se gli strumenti dovessero segnalare movimenti più significativi, non si potrà evitare di mettere mano a nuovi lavori di consolidamento, con costi elevati e tempi lunghi. In questo senso, il piano triennale di osservazione affidato ad Asgeo appare come un passo indispensabile ma non conclusivo: una fase di attesa vigile che potrà indicare se l’intervento debba evolversi in opere strutturali più invasive.

Il destino della Rocca di Mazzè si gioca dunque tra memoria storica e sfida presente: da un lato la ferita ancora aperta dell’alluvione del ’94, dall’altro la necessità di convivere con un rischio che la natura rende ciclicamente attuale. La differenza, oggi, la fanno gli strumenti scientifici e la capacità di leggere in tempo i segnali del territorio.

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