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23 Agosto 2025 - 19:28
Città della Salute, primo vertice con Schael: «Ora serve una svolta operativa e culturale»
Nel pieno della tempesta che sta coinvolgendo la Città della Salute di Torino, il commissario Thomas Schael non abbassa la testa. Anzi, rilancia. Sotto la pressione di una maxi-inchiesta giudiziaria che ipotizza un danno erariale da oltre dieci milioni di euro e sotto il ricatto di una sfiducia politica, Schael firma un atto destinato a lasciare il segno: l’incarico a un advisor esterno per scandagliare, voce per voce, i bilanci degli ultimi anni con un occhio alla libera professione intramoenia. È un segnale preciso: la ricostruzione dei conti non può aspettare il prossimo direttore generale.
La delibera vale 2,5 milioni di euro e ha il sapore di una mossa di continuità operativa, quasi una sfida. Mentre molti parlavano già di un commissario indebolito e in uscita, Schael ha dimostrato di essere ancora pienamente al comando. L’advisor entrerà nel vivo già nei prossimi giorni: due anni di tempo per fare ordine in una contabilità resa opaca da procedure inceppate, mancati controlli e un sistema di pagamenti che da mesi scricchiola.
Il mandato è affidato a una cordata di peso, con mandataria RTI Intellera Consulting e partner del calibro di Deloitte Consulting Società Benefit, Arthur D. Little, HSPI, Dstech, Telos Management Consulting e Long Distance. A loro il compito di passare al setaccio i flussi economici dell’intramoenia, quella terra di mezzo in cui i medici esercitano attività privata dentro le mura pubbliche degli ospedali. È proprio lì che l’inchiesta giudiziaria ha intravisto storture e zone d’ombra: pagamenti non tracciati, separazioni contabili poco chiare, dati che si perdono nei meandri burocratici.
I primi dossier caldi riguardano la Clinica Fornaca, chiamata a consegnare entro il 15 settembre tutta la documentazione sui pagamenti alla Città della Salute, pena il blocco del rinnovo della convenzione che scade il 30 del mese. Poi toccherà ai bilanci di Sapientiae e Santa Caterina, anch’essi al centro delle attività intramoenia. È una corsa contro il tempo, in cui i numeri dovranno finalmente trovare coerenza.
Il segnale più tangibile delle difficoltà è arrivato ad agosto, quando l’ufficio “Libera Professione” ha comunicato ai medici l’impossibilità di distribuire i proventi del mese per “imprevisti di carattere tecnico-contabile”. Non si trattava degli stipendi ordinari, ma di compensi aggiuntivi che rappresentano una voce significativa per molti professionisti. L’azienda ha promesso il saldo a settembre, ma intanto il malumore è cresciuto. L’ennesima dimostrazione che la catena informativa e amministrativa dell’intramoenia necessita di essere riscritta da cima a fondo, con procedure chiare e controlli automatici.
Sul tavolo resta anche la questione più ingombrante: il bilancio 2024. Schael ha rinviato la firma, definendo il documento controverso. Sarà il nuovo direttore generale a ereditare il cantiere aperto dell’audit, con la consapevolezza che senza le verifiche dell’advisor sarebbe difficile, se non impossibile, approvarlo senza garanzie. In questo senso, il lavoro dei consulenti diventa la pietra angolare della futura governance della Città della Salute.
Insomma non si tratta solo di far tornare i conti, ma di ristabilire fiducia e trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche. Il rischio, se non si interviene con rigore, è che la libera professione intramoenia diventi un terreno di opacità, alimentando sospetti e conflitti. La sfida, invece, è far convivere correttamente l’attività privata con quella istituzionale, garantendo regole chiare, pagamenti puntuali e contabilità separate.
E qui torniamo a un capitolo che vale la pena di raccontare con chiarezza. Perché il commissario Thomas Schael, oggi sotto pressione, è lo stesso che era stato fortemente voluto dall’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi.
Tre, dicono, le colpe di Schael: avere rotto l’armonia del sistema, essersi sovraesposto mediaticamente e – udite udite – avere poca umiltà. Tradotto: colpevole di non essersi inginocchiato davanti al circo della sanità piemontese. Colpevole di aver preteso che i medici stessero in ospedale a fare il loro lavoro. Colpevole di aver guardato dentro i bilanci e acceso un faro su pratiche consolidate che arricchivano pochi e penalizzavano tanti, compresi quei medici che mollano il pubblico perché qui i primari comandano e gli stipendi non decollano.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Forse la scoperta che i conti non tornavano e che il disavanzo 2024 era di 55 milioni e non di 41. Forse il fatto che Schael abbia chiesto un audit esterno su dodici anni di contabilità. O che la Procura abbia aperto un’indagine. No: tutto questo passa in secondo piano.
Il dito indice si è posato su un’altra vicenda: il ricorso al Tribunale del lavoro vinto dalla federazione Cimo-Fesmed, la lobby dei primari, la casta dorata della sanità. Proprio loro che da anni, grazie all’intramoenia allargata, si rimpinzano di soldi come tacchini a Natale, lasciando deserti i reparti pubblici nel pomeriggio per correre a visitare pazienti paganti nelle cliniche private convenzionate. Schael ha rotto il giocattolo: stop alle convenzioni, stop all’intramoenia allargata dal 1° aprile, i medici restano nelle strutture pubbliche. Un taglio secco.
I primari imbufaliti hanno ricorso e vinto. Condanna pesante: ripristino delle procedure ordinarie, pubblicazione della sentenza negli ospedali per trenta giorni, pagamento di 6.600 euro di spese legali. Una batosta. Ma Schael non ha reagito da burocrate barricato, ha scritto ai sindacati il 9 agosto, proponendo dialogo, tavoli comuni, distensione. Troppo tardi: la Regione aveva già deciso di silurarlo. E infatti, due giorni dopo, l’11 agosto, è arrivato il comunicato di Riboldi.
Ed è qui che la vicenda sfiora il grottesco. Perché Schael ha fatto esattamente ciò che era scritto nero su bianco nella delibera con cui Riboldi stesso lo aveva nominato commissario: far quadrare i conti, ridurre le liste d’attesa, vigilare sulla libera professione e sospenderla se necessario. Ha applicato il mandato, punto. E per questo viene cacciato. Una parabola che fa ridere amaramente: Schael è stato “sicurato” per essere poi punito proprio perché ha fatto il suo dovere.
E allora la domanda è inevitabile: cosa si aspettava Riboldi? Un commissario-parafulmine buono solo a firmare carte, a inaugurare padiglioni davanti alle telecamere mentre i milioni di deficit continuavano a crescere sotto i tappeti? O forse un manager pronto a recitare la parte, senza disturbare il manovratore e senza toccare i privilegi consolidati?
La morale è semplice e amara: Schael ha scelto la trasparenza invece del compromesso, i cittadini invece dei primari, i conti invece delle clientele. Per questo oggi rischia di essere cacciato. Ed è chiaro ormai a tutti che il suo siluramento non sarebbe una vittoria per la sanità, ma l’ennesima sconfitta. Il messaggio che passa è limpido: chi tocca i privilegi paga. E i pazienti? Restino pure in lista d’attesa. Tanto, a pagamento, un posto in qualche clinica si trova sempre. Basta avere il portafoglio giusto.
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