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23 Agosto 2025 - 11:09
Arturo Brachetti e di sfondo Corio
Che cosa resta di un’estate quando passi otto mesi all’anno sul palcoscenico? Lo ha raccontato in un’intervista a La Stampa Arturo Brachetti, classe 1957, il più celebre trasformista al mondo: resta soprattutto il piacere — quasi urgente — di fermarsi. "Sono vicino a Chambéry. Sono venuto a farmi sparare in aria", ha spiegato con il suo storico sorriso percepibile anche al telefono, mentre si lasciava sollevare da un ventilatore industriale fino a sette metri d’altezza: “Ho sempre amato volare”, ha detto con la rapidità di un numero di scena.
Ma è l’estate canavesana il vero palcoscenico nascosto delle sue memorie. Cresciuto a Corio — paese a pochi chilometri da Lanzo, dove frequentò il collegio salesiano — Brachetti ha ricordato il “Corio beach” come luogo di continue scoperte: bastoni trasformati in tende improvvisate, il Malone gelido come un lago artico, i pomeriggi passati tra i ponti Picca e dell’Avvocato. Erano anni in cui la villeggiatura si faceva dai nonni, in un mondo semplice che oggi sembra lontanissimo. Le radici familiari restano forti: a Corio vive ancora sua madre, Maria Rosa Brachetti, che di recente ha seguito con orgoglio alcune sue esibizioni in zona.
Arturo Brachetti con mamma Maria Rosa
Arturo Brachetti a Corio con la sua mamma che vive qui
Al collegio salesiano di Lanzo, tra le aule austere e la disciplina severa, mosse i primi passi verso il teatro. Fu in quel periodo, durante un centro estivo a Gressoney, che conobbe figure decisive come don Silvio Mantelli, il “Mago Sales”, che lo avvicinò all’arte dell’illusionismo e gli fece intravedere una strada diversa dal sacerdozio. Dalla scuola alla parrocchia, dagli spettacoli per bambini nei paesi vicini fino alle prime serate a Corio con cachet di due mila lire: il palcoscenico era già il suo destino.
È nella villeggiatura a Corio che Brachetti coltiva la sua immaginazione. Il Malone ghiacciato, le capanne improvvisate, le feste di paese per Sant’Anna che trasformavano il borgo in una piccola Las Vegas: un mondo fatto di libertà, musica e prime scoperte. Quelle estati erano il suo vero teatro, e oggi continuano a rappresentaMaria Rosa Brachettire un patrimonio affettivo insostituibile.
Il collegio salesiano di Lanzo, con il suo rigore, non fu solo disciplina: divenne palestra di creatività. Qui si affinò la sua passione per lo spettacolo, destinata a portarlo lontano. Dalle colonie Fiat vissute da bambino, al lago di Viverone e ai primi voli con un deltaplano improvvisato dagli amici di Corio, ogni esperienza diventava scena, aneddoto, racconto da trasformare in spettacolo.
Il legame con il Canavese non è solo ricordo. Negli ultimi anni Brachetti è tornato spesso in zona: dal Festival Lunathica a Ciriè, al Festival della Reciprocità nel cortile del castello di San Giorgio Canavese, fino alla riapertura del teatro di Rivara. Nel luglio 2025, in piazza D’Oria a Ciriè, è stato protagonista di “Ciriè120”, con la madre presente in platea: un ritorno emozionante che ha confermato il filo saldo con la sua terra. Già nel 2019, la sua presenza era stata celebrata all’Apolide Festival di Vialfrè, occasione in cui venne ricordata pubblicamente la sua origine familiare proprio da Corio.
Per Brachetti, l’estate non è una pausa ma un ritorno: ai luoghi che lo hanno formato, ai torrenti e alle piazze di paese, al collegio che ha segnato il suo cammino. Come ha spiegato a La Stampa, dopo 220 spettacoli in un anno il lusso più grande è chiamare “vacanza” la propria casa. Ma dentro la sua estate restano Corio e Lanzo: i due poli che hanno dato forma al trasformista che porta nel mondo un pezzo di Canavese e di Valli di Lanzo.
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