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Cronaca
22 Agosto 2025 - 11:11
Il Canavese si stringe attorno a Beatrice ed Elia: una raccolta fondi per i figli di Andrea Biffi
Giovedì mattina la famiglia di Andrea Biffi è partita alla volta di Briançon. Un viaggio lento e silenzioso, carico di dolore, verso la città francese dove si celebreranno, in forma privata, i funerali dell’atleta e alpinista canavesano morto il 17 agosto sulla Cresta Berhault del Monviso. Un addio sobrio, custodito lontano dai riflettori, tra le stesse montagne che Andrea amava più di ogni altra cosa. Sarà un saluto intimo, con pochi, con chi lo conosceva davvero, con chi aveva imparato ad ammirare quel ragazzo che aveva fatto della corsa estrema e dell’alpinismo una ragione di vita.
La comunità canavesana, però, non resterà senza un momento di raccoglimento. Domenica 24 agosto, a Ciriè, città dove Andrea aveva mantenuto la residenza anche se da oltre due anni viveva a Borgiallo, verrà recitato un rosario alle 19 nel duomo di San Giovanni. Sarà un’occasione di preghiera, ma anche un abbraccio collettivo. Amici, compagni di corsa, appassionati di montagna e semplici cittadini che hanno seguito le sue imprese si stringeranno insieme per dire un grazie, un ultimo arrivederci. Quel rosario non sarà solo un rito religioso: sarà un simbolo. Un modo per trasformare il dolore in memoria, per rendere comunitaria una tragedia che ha colpito tutti.
In questi giorni il padre, Massimo Biffi, pur nel dolore più grande che un padre possa sopportare, ha trovato la forza di reagire. Con parole semplici e strazianti, ha lanciato su GoFundMe una raccolta fondi per sostenere i figli di Andrea, Beatrice ed Elia, di appena cinque e quattro anni.
«Ciao, sono Massimo Biffi, il papà di Andrea, campione di ultratrail ed alpinista di punta, specialista nelle salite in velocità. Potete leggere delle sue imprese sportive sui vari canali social. Andrea è tragicamente scomparso domenica 17 agosto, mentre percorreva la cresta Berhault nel gruppo del Monviso. Oltre ad essere un atleta di alto livello Andrea era il papà di due splendidi bambini, Beatrice ed Elia, ai quali tocca accontentarsi troppo presto di un semplice ricordo».
E sono parole che pesano come macigni. Perché nessun genitore dovrebbe mai scrivere un appello così, nessun bambino dovrebbe crescere accontentandosi di un ricordo. La campagna, intitolata “Un pensiero ed un aiuto concreto per i bimbi di Andrea”, servirà a costruire per loro un futuro più sereno: i fondi raccolti saranno gestiti da Rebecca Comba, la mamma dei bambini, e depositati su un libretto di risparmio intestato a loro. Serviranno per gli studi, per i progetti, per garantire che il vuoto lasciato da Andrea possa essere almeno in parte riempito da una comunità che non li lascerà soli. «Un grandissimo grazie a chi vorrà darci una mano», ha aggiunto Massimo. E già decine e decine di persone hanno risposto, trasformando il dolore in concretezza, la disperazione in solidarietà.
Ma chi era davvero Andrea Biffi? Non basta dire che era un atleta, non basta ricordarlo come alpinista. Era un ragazzo di trentadue anni che aveva trovato nello sport la propria lingua, il proprio modo di stare al mondo. Nato a Ivrea nel 1993, cresciuto a Ciriè, trasferitosi a Borgiallo, Andrea aveva sempre avuto dentro di sé il richiamo della natura, della fatica, dell’adrenalina.
Da giovane aveva provato di tutto: il ciclismo, con le lunghe pedalate sulle strade del Canavese; lo sci, che gli regalava il brivido della velocità; l’arrampicata, che lo metteva a tu per tu con la roccia; l’escursionismo, che lo portava a scoprire sentieri e panorami. Ogni attività era un tassello, una sfida, un modo per conoscersi e migliorarsi. Ma la vera folgorazione era arrivata con l’ultratrail.
L’ultratrail non è una gara normale. Non basta avere gambe allenate e polmoni d’acciaio. Bisogna avere soprattutto testa e cuore. Sono corse che durano giorni e notti, che ti costringono a lottare contro il sonno, contro la stanchezza, contro la tentazione di fermarti. Gare in cui i chilometri non si contano, si sentono. E Andrea era nato per questo. Sapeva resistere, sapeva spingersi oltre, sapeva guardarsi dentro.
Il 2023 era stato l’anno della sua affermazione. Aveva vinto il Trofeo Punta Quinzeina, lasciando il segno in una competizione simbolica per chi ama le montagne del Canavese. Aveva brillato anche nell’Ivrea-Mombarone, la corsa che unisce la città alla sua montagna e che per un eporediese vale quasi un destino.
Ma il meglio doveva ancora venire. Il 2025 era iniziato come un anno di gloria. A marzo aveva affrontato la Pass2Pass Ultra Trail, cento chilometri e 4.600 metri di dislivello. Una gara massacrante, che Andrea aveva chiuso al secondo posto, dimostrando di essere ormai tra i migliori interpreti di questa disciplina.
Poi era volato in Sudafrica, a giugno, per la Mountain Ultra Trail by UTMB. Centosettanta chilometri, quasi ottomila metri di dislivello: una prova che mette in ginocchio anche gli atleti più esperti. Andrea non solo aveva resistito: aveva vinto. Una vittoria che lo aveva consacrato a livello internazionale, portando il suo nome ben oltre i confini del Canavese.
Ma non erano solo le gare ufficiali a renderlo grande. Andrea amava le sfide personali, quelle che non regalano coppe ma lasciano tracce indelebili. Nel luglio 2025 aveva firmato la prima traversata non-stop dell’Alta Via Canavesana: oltre 120 chilometri di creste e sentieri completati in 1 giorno, 7 ore e 12 minuti. Nessuno prima aveva osato tanto, lui lo aveva fatto. Pochi giorni dopo, ancora un’impresa: l’integrale delle creste Valchiusellesi, un viaggio solitario tra rocce e silenzi.
Poi è arrivato il 17 agosto. Andrea era partito per una nuova sfida: la Cresta Berhault del Monviso, intitolata a Patrick Berhault, alpinista leggendario che nel 2004 perse la vita proprio in montagna. Un itinerario duro, riservato ai più esperti, che porta verso la cima del “Re di Pietra”. Andrea era attrezzato, aveva con sé il GPS, era in contatto col padre. Alle 3:30 del mattino del 18 agosto è arrivato l’ultimo segnale del localizzatore. Poi, il silenzio.
Quando non è rientrato, il padre ha dato l’allarme. Sono scattati i soccorsi: il Soccorso Alpino e Speleologico Piemontese, i Vigili del Fuoco con l’elicottero “Drago”, la Gendarmerie di Briançon. All’alba del 18 agosto lo hanno trovato, senza vita, nel Couloir del Porco, tra Punta Udine e Punta Venezia. Una caduta, forse un istante, forse un passo falso. La montagna che Andrea aveva amato e rispettato si è trasformata in abisso.
Oggi, a piangerlo, ci sono i genitori Paola e Massimo, la zia Maria Grazia, il cugino Davide e tutti i parenti. Ma soprattutto ci sono due bambini, Beatrice ed Elia, che troppo presto dovranno imparare a convivere con un’assenza. E c’è un’intera comunità, che in questi giorni ha riempito i social di ricordi, di foto, di aneddoti. C’è chi lo ricorda in una gara, chi in una semplice uscita in montagna, chi in un sorriso al bar. Tutti raccontano la stessa cosa: Andrea era un campione, ma prima ancora era un ragazzo umile, generoso, capace di grandi imprese e piccoli gesti.
Il rosario di Ciriè sarà allora più di una preghiera. Sarà il momento in cui il Canavese intero dirà grazie. Grazie a un figlio che ha saputo dare orgoglio, a un atleta che ha saputo mostrare che la fatica è bellezza, a un padre che, anche se per poco, ha insegnato ai suoi figli il valore dell’amore e della determinazione.
E mentre il dolore lacera, resta una certezza: Andrea Biffi continuerà a vivere. Nei sentieri che ha percorso, nelle vette che ha scalato, nelle cronache delle sue gare. Ma soprattutto negli occhi di Beatrice ed Elia, che cresceranno portando con sé la forza, il coraggio e il cuore di un papà straordinario.
Un papà che non ha mai smesso di correre. Che non si è mai arreso. Che ora riposa tra le montagne che lo hanno visto nascere come uomo e come atleta. E che continuerà a camminare, invisibile, accanto a chi lo ha amato.
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