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Botta e risposta tra Pd e Comunità ebraica: la guerra a Gaza divide Ivrea

La lettera di Guido Rietti porta all’attenzione il disagio della comunità ebraica eporediese, tra silenzio e dialogo interreligioso. La replica di Francesco Giglio, coordinatore del Pd, chiede invece prese di posizione chiare contro il governo Netanyahu e a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina

Botta e risposta tra Pd e Comunità ebraica: la guerra a Gaza divide Ivrea

Guido Rietti e Francesco Giglio

C’è un "botta e risposta", tutto eporediese sul conflitto mediorientale. Da una parte la piccola Comunità ebraica, dall’altra il Partito Democratico. In mezzo, la tragedia di Gaza, il dramma degli ostaggi, la violenza di Hamas, le posizioni sempre più radicalizzate della politica e il difficile equilibrio tra la condanna di un governo e la tutela di un popolo.

Il botta e risposta prende le mosse da una lettera inviata da Guido Rietti, esponente della Comunità ebraica di Ivrea, indirizzata a Francesco Giglio, coordinatore del Pd cittadino. Una lettera che ha il tono della confidenza e dell’appello, ma anche del richiamo: un tentativo di spiegare il disagio profondo vissuto da chi porta sulle spalle il peso di una identità spesso messa sotto accusa.

Rietti ricorda un episodio che a Ivrea non è passato inosservato, quello dello striscione provocatorio apparso al cancello del cimitero ebraico. Non lo aveva reso pubblico – spiega – per lasciare che fossero Comune e Anpi a occuparsene. Un gesto di prudenza, quasi di fiducia nelle istituzioni. Ma in cambio, oltre a qualche contatto riservato, solo una risposta personale dal presidente del Consiglio comunale Luca Spitale. Troppo poco, sembra dire tra le righe, per una comunità che si sente sempre più isolata.

Poi l’analisi, lucida e amara: il clima politico e mediatico internazionale ha spinto anche a Ivrea – scrive Rietti – verso una pressione costante contro Israele. Certo, si precisa che le accuse sono rivolte al governo Netanyahu, non al popolo ebraico. Ma il risultato, sul piano sociale, è che si diffonde comunque una narrativa negativa che investe gli ebrei nel loro insieme. “Succede spesso che gli ebrei italiani vengano invitati a dire la loro sulle azioni di Israele – confessa – quasi che la loro opinione servisse a convalidare un giudizio universale di condanna. È una questione dolorosa”.

In queste parole c’è la fatica di una comunità ridotta a poche persone, che non ha né i numeri né la forza di esporsi.

“Ad Ivrea gli ebrei sono pochi e non inclini a farlo”, ammette Rietti, lasciando trapelare l’angoscia di chi assiste impotente al moltiplicarsi di tragedie: la devastazione di Gaza, la sofferenza dei civili palestinesi, il dolore per gli ostaggi nelle mani di Hamas, i giovani soldati israeliani morti in guerra, la reputazione di Israele compromessa agli occhi del mondo. È un dolore doppio, perché dentro c’è la solidarietà per le vittime civili e allo stesso tempo l’angoscia per un popolo che si sente sempre più solo.

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Da qui la scelta di appoggiarsi al dialogo interreligioso, di cercare nella spiritualità un varco alla disperazione. Rietti ricorda infatti l’impegno della Comunità ebraica di Torino e di altre realtà religiose e laiche riunite nel Tavolo della Speranza, nato a Torino il 20 luglio. Un progetto che unisce rabbini, imam, sacerdoti, laici impegnati, con l’idea che “nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio” e che solo “il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi” potranno aprire la strada alla pace.

La replica di Francesco Giglio arriva con tono rispettoso, ma senza giri di parole. Nel ringraziare Rietti per l’attenzione e il dialogo, il coordinatore del Pd eporediese mette subito sul tavolo la posizione del partito: “Non possiamo restare indifferenti quando sentiamo ministri israeliani parlare di deportazione degli abitanti di Gaza, o quando vediamo l’esercito israeliano colpire i bambini in coda per il cibo, i volontari delle Ong, i fedeli nelle chiese cattoliche, i giornalisti rimasti a documentare l’orrore”.

Parole dure, che segnano una linea netta. Giglio non nasconde la sorpresa e persino la delusione di fronte all’affermazione di Rietti secondo cui le comunità ebraiche non hanno la delega a prendere posizioni politiche.

“Di quale delega si deve avere bisogno per dire che si è contrari alla violenza sistematica condotta da uno Stato contro civili inermi? Di quale delega si deve avere bisogno per affermare che la pace non può arrivare senza il riconoscimento dello Stato di Palestina?” chiede, quasi provocatoriamente.

La sua è una chiamata diretta, un invito a uscire dall’ombra: secondo il Pd, proprio le comunità ebraiche dovrebbero prendere le distanze dal governo Netanyahu, sostenere i movimenti israeliani che chiedono la pace, farsi promotrici di un nuovo percorso internazionale verso la convivenza e il riconoscimento reciproco.

Giglio lo dice chiaramente: “Vi appoggeremmo con tutto il nostro impegno se le vostre comunità si attivassero per il riconoscimento dello Stato di Palestina, per portare aiuti agli abitanti di Gaza, per contrastare l’espansione delle colonie in Cisgiordania”.

Eppure, nella sua lettera, non manca l’equilibrio. Giglio ricorda l’orrore del 7 ottobre, le vittime degli attentati di Hamas, la tragedia degli ostaggi ancora prigionieri. A questi, assicura, il Pd non farà mai mancare il suo sostegno incondizionato. Ma proprio per questo – sembra dire – è ancora più urgente condannare senza ambiguità la spirale di violenza che continua a travolgere il Medio Oriente.

La distanza resta evidente. Da un lato la comunità ebraica eporediese, chiusa in un silenzio che è insieme dolore e prudenza, stretta tra la fedeltà a Israele e la paura di alimentare polemiche locali. Dall’altro un partito che rivendica la necessità di prendere posizione, che lega la propria sensibilità al gemellaggio con la città palestinese di Beit Ummar e che chiede agli ebrei italiani di farsi parte attiva nel dibattito.

Un dialogo difficile, che mette a nudo fragilità e contraddizioni. Ma anche un confronto prezioso, perché costringe tutti a guardare oltre i confini, a fare i conti con l’umanità ferita che c’è dietro ogni bandiera. E che dimostra come persino in una città come Ivrea, distante geograficamente ma non emotivamente dal Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese possa bussare con forza alla porta della politica e delle coscienze.

***

Al Partito Democratico di Ivrea

Buongiorno Francesco Giglio,

so che è al corrente dell'episodio recente dello striscione provocatorio al cancello del cimitero ebraico di Ivrea. Il fatto accaduto non è stato da me reso pubblico, per consentire al Comune e all'ANPI di svolgere le doverose verifiche. Ho comunque informato vari interlocutori in Comune dei fatti e delle mie aspettative, ricevendo una prima risposta, ma personale, dal presidente del Consiglio L. Spitale.

In questo periodo la situazione in Medio Oriente ha avuto sviluppi della massima risonanza mediatica ed emotiva, che hanno portato il Comune di Ivrea e la Politica tutta ad ampliare la pressione contro Israele. Questi soggetti hanno chiarito – è vero – che gli addebiti sono rivolti al governo Netanyahu, e non alla popolazione israeliana né tanto meno al popolo Ebraico in quanto tale; ma di fatto senza opporsi a una narrativa negativa che si estende al mondo ebraico.

Succede spesso che gli Ebrei italiani vengano invitati a spiegare la loro posizione in proposito, nell'ipotesi che il loro parere possa rinforzare il biasimo quasi universale che le azioni di Israele ricevono. È una questione non semplice e dolorosa.

Le Comunità ebraiche propriamente dette non hanno la delega a prendere posizioni politiche, né la missione di entrare in dibattiti pubblici o privati, anche se naturalmente la vicinanza con Israele inteso come unico Stato nazionale degli Ebrei è uno dei loro valori essenziali. Non è quindi alle Comunità in quanto tali – noi siamo una sezione di quella di Torino – che va chiesto di partecipare a dibattiti aperti. Naturalmente gli ebrei, sia a titolo personale, sia entro associazioni, sia attraverso le molte pubblicazioni a stampa o online che producono, possono esprimersi liberamente e spesso lo fanno anche in pubblico. L'anziana superstite Liliana Segre è in questo esemplare, con tutto il carico che ciò le comporta.

A Ivrea gli ebrei sono ormai pochi e non inclini ad esporsi. Come altrove, possiamo sembrare distaccati o insensibili. Ma di fronte all'orribile tragedia della guerra a Gaza, con le distruzioni e le sofferenze della popolazione civile; di fronte all'angoscia per gli ostaggi e per i tanti militari sacrificati; con l'immagine internazionale del paese devastata; e con la sensazione crescente di un maggiore isolamento, può credere che siamo angosciati anche noi, e con più motivi degli altri.

Per questo, le Comunità ebraiche, in modi adeguati alla loro missione, hanno aderito a iniziative con culture e religioni diverse, che chiedono anche in Medio Oriente il rispetto dell'universale desiderio di pace e unità. Anche la Comunità ebraica di Torino si è espressa, insieme a rappresentanti laici e religiosi musulmani e cattolici, nell'ambito di un lungamente perseguito dialogo interreligioso. L'impegno comune è esposto nel comunicato del Tavolo della Speranza, allegato, che coglie anche lo stimolo iniziato a Bologna nella dichiarazione del presidente De Paz con il card. Zuppi.

Le trasmetto questo documento, confidando che il PD rappresenti un veicolo adatto a far conoscere almeno agli aderenti l'impegno e le posizioni dell'ebraismo torinese.

Un cordiale saluto, Guido Rietti

***

Caro Guido,

La ringrazio per la sua lettera, e per l’attenzione che dimostra nei confronti della comunità che ruota intorno al nostro partito.
Condividiamo in pieno lo spirito che vi anima nella ricerca di una soluzione di pace, e comprendiamo molto bene le difficoltà che deriverebbero dal prendere posizione in una situazione così difficile.

Però non possiamo restare indifferenti rispetto alla tragedia in corso a Gaza e in Cisgiordania, dalla quale riceviamo continuamente notizie allarmanti e tragiche dalla città di Beit Ummar, che sentiamo molto vicina a noi in ragione del gemellaggio che la unisce ad Ivrea.

Non possiamo restare indifferenti quando sentiamo i ministri israeliani parlare di “deportazione” degli abitanti della Striscia di Gaza, e forse di tutti i palestinesi, in Sudan o in Libia.
Non possiamo restare indifferenti quando vediamo l’esercito israeliano attaccare e uccidere i bambini in coda per la distribuzione di cibo, i volontari attivi nelle Ong, i fedeli nelle chiese cattoliche, gli oramai pochi giornalisti presenti nella Striscia.
Non possiamo restare indifferenti quando sentiamo ministri del governo israeliano indicare l’insediamento di colonie in Cisgiordania come il metodo perfetto per far naufragare definitivamente l’idea dello Stato di Palestina.

Per queste ragioni restiamo sorpresi di fronte ad affermazioni quali: “Le Comunità ebraiche propriamente dette non hanno la delega a prendere posizioni politiche, né la missione di entrare in dibattiti pubblici o privati, anche se naturalmente la vicinanza con Israele inteso come unico Stato nazionale degli Ebrei è uno dei loro valori essenziali.”

Di quale delega si deve avere bisogno per dire che si è contrari alla violenza sistematica condotta da uno Stato nei confronti di civili inermi, di volontari, di religiosi che si adoperano per cercare di garantire un minimo di benessere ai civili?
Di quale delega si deve avere bisogno per dire che la ricerca della pace è il valore più importante, e che non ci si arriverà mai senza il riconoscimento dello Stato di Palestina?

Molti cittadini e movimenti israeliani lo sostengono da tempo, e noi ci chiediamo: perché non potete farlo anche voi?

Noi pensiamo che, delega o non delega, sia importantissimo che le comunità ebraiche si esprimano condannando le azioni del governo Netanyahu, prendendone le distanze, e promuovendo fra le comunità ebraiche del mondo un movimento che sostenga le ragioni della pace e sia di supporto ai movimenti presenti in Israele che contrastano l’azione del governo.

Vi appoggeremmo con tutto il nostro impegno se da parte delle vostre comunità venissero poste in atto azioni volte a promuovere il riconoscimento dello Stato della Palestina, a portare aiuti agli abitanti della Striscia, a contrastare l’insediamento di nuove colonie in Cisgiordania.

Concludo dicendo che tutto quanto scritto sopra naturalmente non ci fa ignorare l’orrore del 7 ottobre, delle azioni terroristiche di Hamas, e del dramma degli ostaggi ancora imprigionati. Rispetto a questi fatti il nostro appoggio è incondizionato.

La saluto cordialmente, e le assicuro la nostra vicinanza e il nostro totale supporto per quanto riuscirete a fare per interrompere questa terribile spirale di violenza.

Francesco Giglio, segretario cittadino Pd 

Comunicato del Tavolo della Speranza


I membri delle confessioni religiose alle quali appartengono le popolazioni coinvolte nella tragedia in corso a Gaza e, con loro, i membri di altre tradizioni spirituali, si stanno impegnando ovunque e strenuamente per costruire dialogo là dove oggi sembra infuriare solamente l’affermazione delle rispettive posizioni.

Così accade anche a Torino, dove si è costituito domenica 20 luglio il “Tavolo della Speranza”, animato da esponenti religiosi e laici di diverse realtà a cominciare da quelle direttamente coinvolte nel conflitto in corso.

Incoraggiati da chi vive sul campo il dramma della morte e della violenza, i partecipanti a questa iniziativa ritengono che gli incontri fra le confessioni religiose possano e debbano costituire un segnale, dalla base della nostra società, con il fine di invocare la fine delle azioni militari e sottolineare la necessità di raggiungere, al più presto, una pace giusta per l’intero Medio Oriente.

Non si può, infatti, non condannare l’immensa catastrofe umanitaria che il conflitto nella Striscia di Gaza sta provocando, con migliaia di palestinesi al limite della sopravvivenza a causa della carestia, auspicando che acqua, cibo e medicinali raggiungano direttamente la popolazione civile al più presto.

D’altro canto, non si può non condannare il rifiuto di Hamas a restituire alle loro famiglie i 50 ostaggi ancora nelle loro mani in buie prigioni sotterranee da quasi due anni. Tutto questo non è umanamente accettabile.

La dichiarazione congiunta dell’Arcivescovo Card. Matteo Zuppi e del Presidente della Comunità Ebraica di Bologna, Daniele De Paz, “Sulla guerra a Gaza e sulla responsabilità comune per la pace”, recentemente presentata all’opinione pubblica, è una conferma che l’impegno a costruire, anche a distanza, convergenze nell’analisi di quanto accade alle quali seguano proposte per dare una concreta soluzione al conflitto, sia la strada da percorrere.

La coscienza dei credenti, indipendentemente dalla fede di appartenenza, non può non essere fortemente turbata dalle notizie provenienti dal teatro di guerra e l’impegno personale nella preghiera e nel dialogo è l’unico modo per liberarsi dal senso di impotenza che, per ammissione dello stesso Papa Leone XIV, sta attanagliando chi invoca la tregua e l’accordo.

L’appuntamento torinese del 20 luglio U.S. vuole essere il primo di una serie di incontri atti ad approfondire la conoscenza dei motivi storici alla base dei problemi che affliggono i popoli di Israele e di Palestina ed a costruire un percorso comune che consenta di affrontare le gravi ripercussioni nella nostra società, dove sembra che si facciano strada, sempre più prepotentemente, sentimenti di antisemitismo ed islamofobia.

Consideriamo infatti che, mentre devono proseguire le pressioni sulla politica e sulla diplomazia per dare soluzioni nell’immediato, sia contemporaneamente necessario disinnescare i pregiudizi che stanno alla base degli atteggiamenti di conflitto, per sperare che il “cessate il fuoco” duri oltre il tempo della cronaca.

“Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi”affermano il cardinale Zuppi e il Presidente De Paz.

Intendiamo, infine, ricordare che oggi nel mondo vi sono 57 conflitti “principali” che purtroppo, come a Gaza, coinvolgono anche i civili. Donne e bambini spesso utilizzati come soldati o scudi umani.

Queste considerazioni sono alla base della decisione di costituire il “Tavolo della Speranza” di Torino, i cui partecipanti, sia religiosi che laici, hanno deciso di assumersi – naturalmente insieme a tutti coloro che si stanno già impegnando o che decideranno di impegnarsi in un lavoro comune – la responsabilità di superare le contrapposizioni storiche andando alla radice del messaggio salvifico delle rispettive fedi in una città che vanta una lunga tradizione culturale ed istituzionale di promozione del dialogo interreligioso come mezzo imprescindibile per la realizzazione di una società giusta ed inclusiva.

Amir Younes – Presidente Centro Islamico “Dar Al Iman”
Ariel Finzi – Rabbino Capo Comunità Ebraica di Torino
Dario Disegni – Presidente Comunità Ebraica di Torino
Hajraoui Mustapha – Presidente Confederazione Islamica Italiana
Idris Abd al Razzaq Bergia – Responsabile Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS) per la regione Piemonte
Don Augusto (Tino) Negri – Presidente Centro Studi Peirone
Paolo Girola – Vice Presidente Centro Studi Peirone
Piero Maglioli – Membro Centro Studi Peirone
Younis Tawfik – Presidente Centro culturale Italo-Arabo Dar al Hikma
Raffaele Lantone – Rappresentante Studenti Cattolici dell’Università di Torino
Giampiero Leo – Vice Presidente Comitato Diritti Umani e Civili Regione Piemonte – Portavoce Coordinamento Interconfessionale “Noi siamo con Voi”
Valentino Castellani – Presidente Comitato Interfedi della Città di Torino
Walter Nuzzo – Membro Comitato Diritti Umani e Civili Regione Piemonte – Cofondatore Coordinamento Interconfessionale “Noi siamo con Voi”
Antonio Rocco Labanca – Giornalista, Membro Coordinamento Interconfessionale “Noi siamo con Voi”

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