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01 Agosto 2025 - 19:17
Mario Beiletti e Guido Rietti
Martedì scorso due persone in visita al cimitero ebraico di Ivrea si sono trovate davanti a uno striscione che ne impediva fisicamente l’accesso. Sopra, una frase inequivocabile: “Viva l’Italia antifascista”. Nessuna firma, nessuna rivendicazione. Solo un messaggio lasciato lì, nel silenzio, proprio davanti al luogo in cui riposano i defunti.
Qualche giorno dopo, il delegato della Comunità ebraica di Ivrea, Guido Rietti, prende carta e penna (mouse e pc) e scrive al presidente dell’Anpi Mario Beiletti. Il tono è netto, la delusione palpabile: “Non mi è arrivata risposta sulla provocazione rivolta agli ebrei di Ivrea. Nessun commento da parte dell’ANPI, troppo impegnata nei ‘presidi’ monotematici. Ma neanche dal Comune, che sarebbe responsabile della sicurezza e della vigilanza dei cimiteri”.
Rietti ricorda anche che “molti degli ebrei si sono espressi, individualmente o in gruppo, contro i comportamenti di Israele nella guerra di Gaza, come è giusto fare e come auspicato anche da voi”, ma che “nonostante ciò, cresce il nostro isolamento, aggravato da episodi di intolleranza antiebraica in Italia: un amaro riscontro del clima denunciato dalle Comunità ebraiche, ma che neanche a Ivrea sembra preoccuparvi”.
La lettera si chiude con un auspicio, quasi una supplica: “Con l’auspicio di ricevere qualche vostra considerazione…”.
E Mario Beiletti, da parte sua, non si tira indietro.
“Ignoriamo la matrice della provocazione né possiamo attribuire con certezza un significato alla frase ‘Viva l’Italia antifascista’ in quel contesto” – spiega Beiletti – “Ma è facile, come fa il signor Rietti, ricondurre il gesto a possibili risvolti antisemiti legati alla situazione di Gaza. Chi mi conosce sa che non ho mai apprezzato gli estremismi, e mi sono sempre espresso con equilibrio anche nei Presidi per la Pace che si svolgono ogni sabato a Ivrea”.
Il presidente dell’Anpi respinge l’accusa di unilateralismo: “Rietti parla di ‘presidi monotematici’, perché lì si condannano i massacri dell’esercito israeliano. Ma è innegabile che, comunque li si voglia chiamare – genocidi, crimini di guerra, stragi – si parli di un numero enorme di vittime e di continue violazioni contro le comunità palestinesi”.
E poi la frecciata: “Sì, questi presidi sono monotematici, anche perché la Comunità ebraica di Ivrea ha sempre scelto di non parteciparvi. Una voce che sarebbe stata importante per il dibattito pubblico”.
E ancora: “È falso che non si parli del 7 ottobre. L’attacco di Hamas è stato un atto terroristico senza precedenti, e noi l’abbiamo condannato. Ma da tempo la risposta di Israele è diventata una mattanza che non può lasciarci indifferenti”.
Beiletti chiude con un appello alla coesione: “Occorre tenere i nervi saldi ed evitare che la condanna pressoché unanime del governo Netanyahu si trasformi in antisemitismo. In questo senso, le Comunità ebraiche potrebbero fare molto, anziché chiudersi a difesa di un esecutivo che ha ormai mostrato la volontà di cancellare i palestinesi dalle loro terre. Leviamo insieme una richiesta di pace, facciamo rumore, insieme. L’Anpi è contro ogni vandalismo, ogni provocazione, ogni estremismo. E desidera mantenere rapporti di vicinanza con le Comunità ebraiche. Ci auguriamo che anche da parte loro arrivi lo stesso sentimento”.
S'aggiunge, anzi lo aggiungiamo noi, che anche il sindaco di Ivrea è intervenuto pubblicamente, condannando “senza esitazioni” lo striscione e prendendo posizione su quanto accaduto, ma invitando tutti a una riflessione più ampia.
“In una città dove l’antifascismo è un fondamento, come lo è la storia della Comunità ebraica – ci ha detto – se questa comunità esprimesse il proprio dissenso ufficialmente, come stanno facendo molte voci in Israele stesso, questo aiuterebbe il dialogo”.
Non una condanna, ma un invito. Non una critica, ma un’apertura: quella a un confronto possibile, in cui la parola “ebraico” non venga schiacciata sull’identità di un governo, né quella di “antifascista” usata come provocazione.
Perché la domanda che attraversa Ivrea, da via dei Mulini fino a piazza di Città, è questa: può esistere un ebraismo critico verso la politica di Tel Aviv senza sentirsi isolato? Può l’antifascismo essere ancora oggi terreno comune, e non di scontro?
Nella città dove ogni sabato si ripete la parola pace, mentre a Gaza si continua a morire, quelle domande fanno rumore. E chiedono risposte.
Perché il dialogo, quello autentico, può nascere anche da uno striscione sbagliato, da un malinteso, da una ferita. Purché ci sia qualcuno disposto ad ascoltare. Purché nessuno confonda il dissenso con l’odio, la condanna con l’identità, la critica con l’antisemitismo.
E purché, in fondo a via dei Mulini, si continui a portare fiori. Non rancori.
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