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18 Agosto 2025 - 10:12
Torino, è emergenza cani abbandonati: canili pieni e adozioni in calo
C’è un concerto che non fa notizia ma non smette mai: è quello che risuona ogni giorno a via Germagnano, a Torino. Un coro di latrati, di voci spezzate e insistenti, che rimbomba tra i box dell’Enpa come un metronomo dell’emergenza estiva. Perché, puntuale come il caldo e la voglia di ferie, l’estate porta con sé una crudeltà silenziosa e reiterata: l’abbandono.
Oggi al rifugio ci sono circa 90 cani e 15 gatti, e non c’è più spazio. Il personale tira a lucido i corridoi, i volontari si muovono tra i box con precisione, e ogni sguardo incrociato racconta una richiesta muta di attenzione, di salvezza, di affetto. Aumentano gli arrivi: c’è chi viene lasciato direttamente davanti all’ingresso, chi viene trovato per strada senza microchip, chi non ha più nome né storia. Senza microchip, non c’è ritorno. Per questo serve applicarlo anche ai gatti, oltre che ai cani: è una scelta che può fare la differenza tra perdersi e tornare a casa.
La sede Enpa di via Germagnano ha cambiato pelle negli ultimi anni. Prima del 2020, la vicinanza con l’insediamento nomadi attivo dal 2003 aveva reso difficile la convivenza: adozioni in calo, pochi servizi, tensioni costanti. Ma da quando l’area è stata sgomberata, le cose sono cambiate. “Negli ultimi anni abbiamo più soci e più richieste di aiuto”, racconta Tiziana Berno, responsabile del canile. L’ambulatorio interno, pensato per le cure di base, oggi è diventato un polo veterinario sociale, con tariffe agevolate e prestazioni gratuite per chi non riesce a pagare. Perché oggi, anche tenere un cane è un costo che molti non riescono più a sostenere.
Ma l’Enpa non si limita ad accogliere: costruisce adozioni con metodo. Si parte da un colloquio, si passa per più incontri e si conclude con un mese di affido provvisorio, per evitare restituzioni dolorose. Solo dopo un controllo post-affido, l’adozione diventa definitiva. I numeri parlano chiaro: 200 cani e 60 gatti adottati nel 2024, solo cinque rientri. Non è fortuna, è un percorso consapevole.
Ogni box è un mondo. Dentro ci sono storie ferite, nomi e numeri, e una speranza appesa a una rete metallica. Shrek, pitbull del 2011, è in canile da dieci anni. Rambo, cardiopatico, è arrivato dall’Albania nel 2019 per sfuggire alla soppressione. Bruno, pastore tedesco abbandonato dopo lo smantellamento del campo di strada dell’Arrivore, ha 10 anni. Per loro, il tempo non è alleato. Gli anni passano, il corpo cede, e la gabbia diventa una condanna.
Eppure, ci sono anche adozioni del cuore. Persone che scelgono di accogliere proprio loro: i cani più anziani, quelli meno “instagrammabili”, quelli che non fanno notizia ma cambiano la vita. Simona, una dei cinque dipendenti Enpa, lo dice senza retorica: “Adottare un cane anziano ti restituisce una riconoscenza che non ha eguali. Hanno bisogno di meno, ma danno tutto”.
Il rifugio resiste, ma non può farcela da solo. La città può e deve fare la sua parte. Applicare il microchip, scegliere l’adozione responsabile, sostenere economicamente le strutture, valutare un’adozione del cuore, anche solo come famiglia temporanea. Perché in ogni sgambata di venti minuti, in ogni coda che si agita, c’è un patto di comunità che chiede di essere rinnovato.
L’Enpa non cerca eroi. Cerca persone disposte ad ascoltare un latrato e rispondere con una carezza. E soprattutto cerca città che, dietro ogni abbaio, riconoscano una vita degna di essere vissuta, e non dimenticata dietro una rete.
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