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Cronaca
11 Agosto 2025 - 16:19
Suicidi in carcere (foto di repertorio)
Sono 46 i detenuti che dall’inizio del 2025 si sono tolti la vita dietro le sbarre, un drammatico bilancio che emerge dall’ultimo report del Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà. L’analisi fotografa una realtà che lo stesso Garante definisce «preoccupante»: 294 suicidi in soli quattro anni, con una media di 73,5 casi all’anno. Nel 2021 furono 59, ma nel 2022 si toccò il picco di 84, con un incremento del 42% in appena dodici mesi. Da allora, i numeri si sono stabilizzati su valori comunque altissimi.
Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e aggiornati al 31 luglio, i decessi complessivi in carcere nel 2025 sono stati 146: 46 suicidi (31,5%), 30 morti per cause ancora da accertare (20,5%), 69 per cause naturali (47,3%) e una per cause accidentali (0,7%). «Il Paese ha l’urgenza di adoperarsi per rendere l’esecuzione della pena non solo efficiente ed efficace sul piano della prevenzione, ma anche compatibile con il suo volto costituzionale, improntato ai principi di umanità, finalismo rieducativo ed extrema ratio della detenzione», avverte il Garante.
Il profilo delle vittime mostra una tendenza chiara e inquietante: 44 uomini e due donne, 24 italiani e 22 stranieri. Questi ultimi, pur rappresentando solo il 31,56% della popolazione carceraria, sono coinvolti nel 47,8% dei suicidi, segno di un rischio suicidario significativamente più alto. L’età media è di 42 anni, ma ben 22 detenuti avevano meno di 39 anni. Dal punto di vista giuridico, 24 erano già condannati in via definitiva, 17 attendevano il primo giudizio.
La mappa della tragedia copre quasi tutta la Penisola: Lombardia (10 casi), Lazio (5), Campania e Sicilia (4), Sardegna e Toscana (3), Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia e Veneto (2), Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise e Umbria (1).
Dietro ogni numero, un dramma umano e istituzionale che continua a ripetersi. Il report richiama ancora una volta l’attenzione sulla necessità di politiche penitenziarie capaci di prevenire l’isolamento e la disperazione che portano a gesti estremi, con interventi mirati per i soggetti più vulnerabili e una revisione complessiva delle condizioni di detenzione.
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