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03 Agosto 2025 - 11:10
L'ostensorio di Pier Giorgio Frassati e Don Bosco
Non era solo un oggetto liturgico, ma un frammento di storia, un testimone silenzioso di generazioni di santi. È arrivato a Roma da Torino, e ieri sera ha brillato sull’altare dell’Adorazione Eucaristica durante la Veglia del Giubileo dei Giovani presieduta da Papa Leone XIV, in una notte carica di simboli, fede e memoria. L’ostensorio utilizzato per l’esposizione del Santissimo non è nuovo alla luce degli occhi rivolti al cielo: è lo stesso davanti al quale hanno pregato don Bosco, Piergiorgio Frassati, Carlo Acutis e molti altri testimoni della santità torinese.
Viene dalla Cappella dell’Adorazione Perpetua della parrocchia Sant’Antonio Abate, nella periferia nord di Torino. Prima ancora, apparteneva alla chiesa dei Padri Sacramentini, che per oltre cent’anni hanno custodito l’adorazione continua nella città. Un luogo discreto, silenzioso, lontano dai riflettori, eppure vero cuore spirituale del capoluogo piemontese, dove l’Eucaristia non ha mai cessato di essere esposta, giorno e notte.
Da quella cappella, ieri, è partito un pezzo di Torino, carico di memoria e presenza viva, per raggiungere Roma e diventare centro visibile di una veglia mondiale. Migliaia di giovani, da ogni parte del pianeta, hanno sostato in preghiera davanti allo stesso ostensorio che aveva già accolto le ginocchia e le lacrime di Frassati, il beato studente e alpinista che sarà proclamato santo il prossimo 7 settembre, insieme a Carlo Acutis, anch’egli apostolo dell’Adorazione Eucaristica.
Foto Vatican Media
Davanti a quel medesimo ostensorio, in tempi diversi ma con lo stesso slancio, si sono inginocchiati San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani e padre spirituale della gioventù; San Giuseppe Cottolengo, costruttore instancabile di opere caritative nella Torino dell’Ottocento; San Giuseppe Cafasso, confessore e formatore di generazioni di sacerdoti, ricordato da papa Pio XI come “la perla del clero italiano”. Proprio Cafasso ebbe tra i suoi penitenti più noti don Bosco, don Cottolengo e il beato Giuseppe Allamano, canonizzato solo pochi mesi fa, il 20 ottobre, da papa Francesco.
L’elenco continua: San Leonardo Murialdo, educatore e padre della gioventù operaia; la beata Anna Michelotti, sempre accanto agli ammalati; i beati fratelli Luigi e Giovanni Boccardo, sacerdoti torinesi esemplari; il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina e profeta della comunicazione cattolica. Tutti uniti da un gesto comune: pregare in silenzio davanti a Gesù esposto, in quell’ostensorio antico, custodito per decenni nel cuore di Torino.
Non c’erano parole ieri sera, durante la veglia. Solo il respiro sommesso di migliaia di giovani e il luccichio dell’ostensorio tra le mani del Pontefice. Ma in quel gesto – silenzioso, immobile, assoluto – si è raccolta una memoria condivisa e una promessa consegnata: la santità non è una reliquia del passato, ma un’eredità viva che si trasmette di generazione in generazione.
Usare proprio quell’ostensorio per la preghiera notturna del Giubileo dei Giovani non è stato un caso, né un semplice atto simbolico. È stato piuttosto un ponte tra due città – Torino e Roma – e tra due tempi: quello della fede radicata nella vita quotidiana e quello della speranza affidata ai giovani. Un modo per ricordare che il primato di Dio nella vita personale non è una teoria, ma una scelta concreta, possibile, reale.
«L’adorazione – spiegava Carlo Acutis – è l’autostrada per il Paradiso». E nella notte di ieri, sotto il cielo romano, quella via si è illuminata ancora una volta. Lo ha fatto con la testimonianza silenziosa di un oggetto sacro, che non ha mai parlato ma ha visto tutto: la fede dei santi, la fatica degli uomini, la perseveranza dei cuori fedeli. E ora, anche, le speranze di una generazione in cerca di senso.
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