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Stellantis smantella Mirafiori: 610 fuori. E non tutti con 110 mila euro

Addio incentivato per centinaia di lavoratori: solo pochi fortunati arrivano alla cifra massima, gli altri prendono meno e vanno via in silenzio. Maserati lascia Torino, la 500 ibrida resta una promessa. E il futuro di Mirafiori è appeso a un filo

Stellantis smantella Mirafiori: 610 fuori. E non tutti con 110 mila euro

Stellantis smantella Mirafiori: 610 fuori. E non tutti con 110 mila euro

La narrazione è quella di un’uscita volontaria, pacifica, quasi liberatoria. L’immagine diffusa è quella di lavoratori ben pagati per lasciare il posto, con in tasca 110.000 euro come premio per una vita passata in tuta da lavoro. Ma la verità, come sempre, è molto più articolata. E spesso, più amara.

La storica fabbrica di Mirafiori, che ha segnato generazioni di torinesi ed è stata per decenni il cuore pulsante dell’industria automobilistica italiana, sta vivendo una delle sue trasformazioni più profonde e dolorose. Stellantis, il colosso nato dalla fusione tra FCA e PSA, ha avviato una procedura di licenziamento collettivo con incentivo all’esodo che coinvolge 610 lavoratori piemontesi. Una decisione che segna l’ennesimo passo verso il ridimensionamento dello stabilimento torinese, un tempo simbolo di potenza industriale, oggi laboratorio di strategie globali che sembrano poco interessate al destino dei territori.

Stellantis

Il piano, avviato formalmente il 9 giugno 2025, si inserisce in una più ampia operazione nazionale di “ottimizzazione della forza lavoro” che riguarda circa 1.600 posti in Italia. Ma a Torino, dove tutto è cominciato, la ferita è più profonda. E non si rimargina con un assegno.

Stellantis ha proposto incentivi economici per le dimissioni volontarie, con offerte che variano in base all’anzianità di servizio, all’età e agli anni mancanti alla pensione. Solo per alcuni, una minoranza di lavoratori molto vicini al pensionamento e con lunga carriera alle spalle, il premio d’uscita ha raggiunto il massimo di 110.000 euro. Una cifra netta, frutto di una complessa conciliazione tra azienda e dipendenti, ma non certo lo standard.

Molti altri si sono trovati a valutare offerte inferiori, in alcuni casi di decine di migliaia di euro in meno, talvolta appena sufficienti a garantire una transizione alla NASpI (il sussidio di disoccupazione), con la promessa – tutta da verificare – di corsi di riqualificazione professionale. Una parola elegante per descrivere il passaggio da un’officina in cui si lavorava ogni giorno con le mani, al banco di un’aula dove si insegna a scrivere curriculum o a usare Excel. La distanza, anche culturale, è abissale.

I primi 250 lavoratori hanno già accettato. La maggior parte proviene dai reparti carrozzerie e dal cosiddetto “reparto mascherine”, nato durante l’emergenza Covid per riconvertire parte della produzione. Settori oggi svuotati, in sofferenza da mesi, con attività ridotte al minimo e ricorso continuo alla cassa integrazione. Per molti di loro l’incentivo, pur non raggiungendo i 110 mila euro, è apparso come una via di fuga accettabile da una situazione stagnante, senza prospettive.

Nel pacchetto rientrano anche forme differenziate di incentivo: chi è più vicino alla pensione può ricevere un accompagnamento fino all’età del ritiro; chi è più giovane deve accontentarsi di un forfait, magari qualche anno di contributi in più, e poi arrangiarsi. Tutto regolare, tutto “volontario”. Ma il risultato è lo stesso: una massa silenziosa di lavoratori che se ne va, uno a uno, senza clamore, senza scioperi, senza proteste.

Nel frattempo, Mirafiori chiude per le ferie estive, e con essa chiude anche la produzione della Maserati nello stabilimento torinese. L’ultima vettura del Tridente assemblata a Torino è uscita pochi giorni fa. Alcuni addetti resteranno fino al 9 settembre per completare le operazioni di trasferimento di materiali e impianti a Modena, dove proseguirà l’attività. Una parte del puzzle si sposta, l’altra sparisce.

A settembre, altri 19 lavoratori del reparto Presse e 31 della Costruzione Stampi lasceranno il posto. Saranno seguiti da 53 addetti della PCMA di San Benigno, 9 della ex TEA di Grugliasco, 16 del Centro Ricerche Fiat a Orbassano, 20 del settore Services e ben 212 degli Enti Centrali. Una diaspora che tocca ogni segmento della struttura torinese. È l’immagine plastica di un’azienda che non crede più nel futuro industriale del suo quartier generale storico.

Sul fronte sindacale, la spaccatura è netta. Fim-Cisl, Uilm, Fismic, Uglm e l’associazione Quadri hanno firmato l’accordo, sostenendo la necessità di garantire una transizione ordinata e accompagnata per i lavoratori. Ma Fiom-Cgil ha detto no, parlando di “scempio”, di svuotamento sistematico dello stabilimento, e soprattutto di assenza totale di una strategia industriale di rilancio per Torino.

Edi Lazzi, segretario generale della Fiom torinese, ha usato parole dure: “Cambiano gli amministratori delegati, ma non cambia il trend di svuotamento di Mirafiori e il depauperamento di Torino”. Una critica che fotografa la sostanza di ciò che sta avvenendo: un lento disimpegno, senza clamore, che mina le fondamenta economiche e sociali di un’intera città.

Stellantis continua a parlare di ricambio generazionale, di nuovi modelli, di elettrificazione. A Mirafiori dovrebbe arrivare, a novembre, la nuova Fiat 500 ibrida. Ma al momento non ci sono assunzioni. E i sindacati temono che, se ci saranno, saranno interinali, precari, a termine. Un futuro senza certezze.

Il nuovo CEO per l’Italia, Antonio Filosa, tace. Nessun piano dettagliato è stato reso noto. Nessuna rassicurazione ai lavoratori. Nessun confronto reale con il territorio. Il “congelamento” delle strategie italiane di Stellantis è percepito in modo sempre più chiaro. E intanto i dipendenti escono in fila, ognuno con la sua lettera, il suo assegno, e il suo rimpianto.

Torino guarda. O forse, peggio, non guarda affatto. Perché a differenza delle grandi crisi del passato, questa non è una battaglia. È una lenta ritirata. Un disarmo unilaterale. Un pezzo di storia che si smonta senza rumore. Ma che un giorno, inevitabilmente, presenterà il conto.

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