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Torino, cortei Pro Palestina: 47 indagati, chieste 7 misure cautelari e 10 restrizioni

La Procura di Torino alza il tiro contro i movimenti antagonisti: nel mirino anche studenti e centri sociali

Torino, cortei Pro Palestina

Torino, cortei Pro Palestina: 47 indagati, chieste 7 misure cautelari e 10 restrizioni

Torino torna sotto i riflettori nazionali non per una questione politica o istituzionale, ma per una nuova inchiesta della Procura che si abbatte con forza sul mondo dei movimenti antagonisti e delle proteste Pro Palestina. Dopo mesi di manifestazioni, cortei, scontri e tensioni, i pm torinesi hanno chiesto sette misure cautelari personali, tra cui quattro arresti in carcere e tre ai domiciliari, oltre a dieci ulteriori misure restrittive, come obblighi di firma e divieti di dimora.

Gli indagati sono 47 in tutto. A condurre le indagini è stata la Digos, che ha redatto un'annotazione di circa 250 pagine, documentando gli eventi più turbolenti che hanno segnato la città tra il 2023 e il 2024. Il fascicolo raccoglie almeno cinque manifestazioni: due promosse dai comitati Pro Palestina, le altre legate al mondo studentesco, antagonista e No Tav.

Tra gli episodi contestati c’è l’assalto al Campus Einaudi durante un’iniziativa del Fuan, il movimento universitario della destra, sfociata in scontri con feriti e tensioni con le forze dell’ordine. In un’altra occasione, l’arrivo della premier Giorgia Meloni a Torino per il Festival delle Regioni è stato accolto da una mobilitazione in centro storico che ha generato ulteriori disordini. In mezzo, anche una manifestazione Pro Palestina davanti alla sede della Rai, diventata uno dei simboli della protesta anti-governativa in chiave internazionale.

Tutto ruota attorno a una strategia repressiva che i magistrati sembrano voler imprimere a una stagione di conflitto sociale che non si è mai sopita. Torino si conferma ancora una volta città laboratorio del dissenso, come lo fu ai tempi della Fiat e del primo movimento No Tav. Ora, però, il fronte si è allargato: studenti, attivisti filo-palestinesi, militanti dei centri sociali, e anche giovani universitari si trovano accomunati in un’indagine che solleva più di una perplessità.

Sul piano giudiziario, le difese contestano la tempistica delle richieste cautelari: i fatti risalgono a molti mesi fa, in alcuni casi oltre un anno, e secondo i legali "non sussiste alcuna esigenza attuale che giustifichi la detenzione preventiva". Gli interrogatori sono cominciati lunedì e proseguiranno nei prossimi giorni. Le accuse spaziano da resistenza a pubblico ufficiale a devastazione e saccheggio, passando per manifestazione non autorizzata, lesioni e violazione del codice penale in occasione di pubbliche manifestazioni.

Il procuratore aggiunto, che ha firmato le richieste, si appoggia alla ricostruzione della Digos, che parla di una regia coordinata in grado di "interferire con l’ordine pubblico cittadino in modo strutturato e reiterato". L’annotazione è stata notificata agli indagati proprio a ridosso del Festival Alta Velocità, la tre giorni di musica e controinformazione che si è svolta in Val di Susa dal 25 al 27 luglio, organizzata dal movimento No Tav. Coincidenza? Difficile crederlo. Il messaggio lanciato sembra chiaro: lo Stato è pronto a colpire preventivamente ogni forma di dissenso che si muove fuori dal binario della legalità istituzionale.

Sul piano politico, le reazioni sono già roventi. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha evocato il rischio terrorismo legato a certi movimenti radicali, parlando di una “deriva eversiva da arginare subito”. Il sindaco Stefano Lo Russo, da sempre in bilico tra istituzioni e ascolto dei movimenti civici, ha commentato che “la violenza è sempre da condannare, a prescindere dalla bandiera sotto la quale si manifesta”. Più tagliente il vicepremier Antonio Tajani, che liquida i protagonisti degli scontri come "giovani violenti e viziati che pensano di poter fare ciò che vogliono".

Ma anche il fronte degli attivisti non sta in silenzio. Un portavoce del collettivo universitario Onda Verde ha denunciato: “Queste indagini sono un tentativo di intimidire una generazione che non ha paura di dire che la Palestina è sotto occupazione. Siamo studenti, non terroristi”. Il mondo dei centri sociali ha annunciato mobilitazioni e presìdi, a partire da giovedì, davanti al Palazzo di Giustizia.

Non è la prima volta che Torino si ritrova al centro di una stretta giudiziaria sul dissenso. Già negli anni scorsi, i processi ai No Tav, alle occupazioni studentesche e ai cortei antifascisti avevano portato a un’escalation di denunce e condanne, spesso poi ridimensionate in sede di appello. Ma la linea della procura resta quella della tolleranza zero, e la direzione sembra ormai tracciata.

Intanto, nei prossimi giorni, si attendono le decisioni del gip sulle richieste di arresto. Se venissero accolte, potrebbero dare il via a una nuova stagione di tensioni in città. Torino, ancora una volta, diventa il teatro di uno scontro più ampio, tra chi scende in piazza per cause globali e chi, dalle stanze della giustizia e del potere, prova a contenerne la spinta. La partita è aperta. E non si gioca solo nelle aule del tribunale.

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