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27 Luglio 2025 - 22:31
Questa sera, domenica 27 luglio, in risposta all’appello lanciato da Pax Christi, movimento cattolico per la pace, un gruppo di cittadini si è ritrovato in piazza, sotto il municipio di Ivrea, per rompere il silenzio assordante che circonda la tragedia umanitaria in corso a Gaza. Niente palco, niente autorizzazioni, nessuna sigla dietro: solo piatti, campane, mestoli, pentole e la determinazione di non lasciare che un genocidio venga inghiottito dalla distrazione dell’estate.
Il volantino circolato nel corso della giornata non lasciava spazio ai dubbi: “La situazione a Gaza sta precipitando sempre di più”, si leggeva. L’invito era chiaro: disertare il silenzio. E a Ivrea, a far risuonare il rumore della pace non sono state le campane delle chiese, ma le mani dei cittadini – con strumenti improvvisati, oggetti quotidiani, un gesto tanto semplice quanto potente.
Nel giro di pochi minuti, sotto il Municipio, si sono raccolti in tanti. Chi con la bandiera palestinese, chi con un campanaccio da mucca, chi avvolto in una sciarpa keffiah. Alcuni reggevano cartelli, tra cui uno che recitava: “Basta guerra! I governi sarebbero costretti a intervenire se fossimo milioni nelle strade.” C’era chi batteva sui coperchi, chi agitava i tamburelli, chi semplicemente stava lì, in silenzio, ma con lo sguardo acceso.
La manifestazione non era prevista. Nessun comunicato, nessuna conferenza stampa. Solo la volontà, urgente e condivisa, di non restare indifferenti. In un tempo in cui l’abitudine all’orrore anestetizza, questi cittadini hanno deciso di fare rumore, letteralmente, per chiedere pace e giustizia.
“Ogni pentola battuta vale più di cento discorsi diplomatici”, ha detto qualcuno, con voce bassa ma occhi fermi.
Gaza continua a bruciare, ma da Ivrea, questa sera, è partito un segnale chiaro: non tutti dormono. C’è ancora chi resiste. Chi si indigna. Chi chiama le cose col loro nome.
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