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29 Luglio 2025 - 09:44
Sei metri di veleni da rimuovere: 5,3 milioni di euro per bonificare la discarica e salvare Rivalta (foto archivio)
Ruspe, barriere, geotessuti e un fiume che aspetta giustizia da decenni. Il 23 luglio 2025, a Rivalta di Torino, è stato formalmente consegnato il cantiere per il ripristino ambientale dell’ex discarica OMA, un sito industriale dismesso che da anni rappresenta una delle ferite più profonde del territorio, non solo per la sua pericolosità ma per il lungo silenzio che l’ha circondata.
Adesso si parte. Già dal mese di agosto le prime squadre entreranno in azione lungo il fiume Sangone, con lavori di pulizia, disboscamento e rimozione della vegetazione infestante. Ma il cuore dell’intervento non sarà in superficie. Sotto terra, in alcuni punti fino a sei metri di profondità, giace un miscuglio di scarti industriali, morchie oleose e idrocarburi, residui tossici di un passato industriale mal gestito e mai veramente affrontato.
L’intervento è reso possibile da un finanziamento da 5,3 milioni di euro del PNRR. E non si tratta di un’opera ordinaria. Secondo gli ambientalisti locali, è uno dei più rilevanti progetti di bonifica ambientale dell’intera regione Piemonte, sia per dimensioni sia per impatto sulla salute del suolo e dell’acqua.
L’area OMA, situata a ridosso del corso del Sangone, è stata per decenni una bomba ecologica a cielo aperto. Nessun controllo sistematico, nessuna protezione per le falde, solo rifiuti abbandonati e interrati in modo abusivo. Nonostante le numerose segnalazioni e gli esposti degli anni passati, le istituzioni hanno impiegato anni a definire un piano di bonifica credibile. Oggi, finalmente, quel piano prende forma.
Il progetto prevede l’installazione di una barriera impermeabile per evitare che le sostanze inquinanti possano filtrare nella falda acquifera. Successivamente l’intera superficie verrà coperta con uno strato di geotessuto, un materiale tecnico che isola il terreno contaminato, e quindi ricoperta con terreno agricolo pulito, per favorire una progressiva rinaturalizzazione dell’area.
L’obiettivo è concludere i lavori entro l’estate del 2026. A quel punto, l’ex discarica potrebbe tornare a essere uno spazio sicuro e magari, in futuro, persino fruibile per la collettività. Non sarà semplice: il cronoprogramma è serrato, e restano molte incognite tecniche sulle condizioni reali del sottosuolo. Ma la direzione è chiara.
La popolazione locale, insieme a comitati ambientali e associazioni civiche, ha accolto con favore la notizia dell’apertura del cantiere. Per anni hanno chiesto risposte concrete, preoccupati soprattutto per la qualità delle acque del Sangone e per il rischio che le sostanze inquinanti potessero raggiungere i pozzi utilizzati in agricoltura.
Il caso OMA si intreccia con una più ampia riflessione su come gestire l’eredità tossica dell’industria del Novecento, ancora oggi ben visibile in molte aree del Piemonte. Non si tratta di un’eccezione: l’intera area metropolitana di Torino è disseminata di siti contaminati, spesso dimenticati, che attendono interventi simili. La differenza, stavolta, la fa il PNRR: fondi straordinari che hanno finalmente permesso di sbloccare progetti fermi da anni.
E mentre a Rivalta si comincia a scavare nel passato, altrove la questione resta aperta. A Pragelato, ad esempio, sono emerse preoccupazioni simili: tonnellate di plastica accumulate nei trampolini olimpici, secondo alcuni tecnici, rappresenterebbero una nuova minaccia ambientale. Il sindaco ha dichiarato che il problema è noto e che si sta lavorando alla rimozione. Ma la coincidenza temporale con l’inizio dei lavori OMA non è passata inosservata: il Piemonte si scopre fragile, contaminato, esposto.
La bonifica di Rivalta è dunque anche un simbolo. Un segnale che la tutela ambientale può e deve diventare priorità politica, non soltanto emergenza da tamponare quando le cose esplodono. Se andrà a buon fine, l’intervento potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre zone a rischio.
Per il momento, però, restano le ruspe, il rumore delle trivelle, il puzzo del bitume e delle morchie che riaffiorano. E la promessa – finalmente concreta – che sotto sei metri di veleno si possa riscoprire, un giorno, un pezzo di territorio da vivere.
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