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Magneti Marelli svenduta ai creditori. Nessuno la vuole

Dopo 106 anni di storia, il colosso della componentistica italiana finisce nelle mani della finanza. Nessuna offerta, 6.000 lavoratori italiani appesi a un filo. Stabilimenti ceduti per un euro e un futuro che non parla più italiano

Magneti Marelli: il passaggio ai creditori segna un nuovo capitolo nella crisi dell'automotive italiano

La storica azienda italiana Magneti Marelli, un tempo pilastro dell’industria automobilistica nazionale, si trova oggi sull’orlo del baratro. Nonostante il termine per la presentazione delle offerte d’acquisto sia scaduto lo scorso 26 luglio 2025, nessun potenziale acquirente si è fatto avanti.

Il controllo passerà così direttamente nelle mani dei principali creditori, aprendo un nuovo e preoccupante capitolo nella crisi che sta travolgendo l’intero settore automotive italiano. Fondata nel 1919 come joint venture tra FIAT ed Ercole Marelli, l’azienda ha rappresentato per oltre un secolo un simbolo dell’eccellenza industriale italiana.

Oggi conta 46.000 dipendenti nel mondo, di cui 6.000 in Italia, distribuiti in stabilimenti storici come quelli di Corbetta, Bologna, Melfi, Venaria Reale e Bari. Eppure, ciò che fu un gigante tecnologico e produttivo appare ormai come una nave alla deriva, vittima di scelte miopi, trasformazioni globali e una crisi sistemica profonda.

Le difficoltà dei suoi principali clienti, come Stellantis e Nissan, la rapida rivoluzione verso l’elettrificazione, la concorrenza asiatica, il post-pandemia, la carenza di semiconduttori, e una cronica incapacità di rilancio concreto hanno eroso progressivamente la solidità dell’azienda.

Ma il vero spartiacque è arrivato nel 2018, quando FCA ha venduto Magneti Marelli al fondo statunitense KKR per 6,2 miliardi di euro. Una mossa presentata come un’opportunità, ma che si è trasformata nel preludio del declino. Dopo la fusione con la giapponese Calsonic Kansei nel 2019, nasce Marelli Holdings, con sede a Saitama, in Giappone. Il cuore dell’azienda si sposta definitivamente all’estero e l’anima industriale viene lentamente assorbita dalla logica dei fondi.

La pandemia del 2020, il calo della domanda globale, l’inflazione e i tassi d’interesse crescenti hanno fatto il resto. I debiti si sono accumulati fino a toccare i 4,9 miliardi di euro, costringendo l’azienda a ricorrere al Chapter 11, la procedura fallimentare americana riservata ai grandi gruppi in crisi.

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A guidare ora il futuro incerto della società è il fondo americano Strategic Value Partners (SVP), affiancato da altri giganti della finanza come Mizuho e Deutsche Bank. Al vertice è stato chiamato Patrick Koller, ex amministratore delegato di Forvia, figura nota per la sua esperienza nelle ristrutturazioni aziendali. Gli obiettivi sono chiari: razionalizzare, tagliare, vendere, ripartire.

Ma dietro queste manovre ci sono volti, famiglie, territori. Sono i lavoratori italiani che ora tremano. Lo stabilimento di Crevalcore, ceduto nel 2024 per un euro simbolico alla piemontese Tecnomeccanica, è il simbolo tangibile della fragilità estrema che ha colpito anche altri poli produttivi nazionali. Si teme per gli stabilimenti di Bari, Corbetta, Venaria, e per le centinaia di addetti coinvolti in un limbo fatto di incertezza, cassa integrazione e rischio esuberi.

Il legame tra Magneti Marelli e l’Italia, costruito negli anni d’oro del gruppo Fiat, sembra destinato a svanire sotto il peso di strategie finanziarie che poco hanno a che vedere con l’industria reale. L’azienda non è più italiana, e sempre meno guarda all’Italia come centro strategico.

È solo un tassello nel grande gioco della finanza globale. In un contesto dove mancano visione politica e politiche industriali efficaci, la vicenda Marelli rischia di diventare l’ennesima prova del progressivo smantellamento del nostro apparato manifatturiero.

I sindacati chiedono chiarezza, i lavoratori pretendono risposte, il governo assiste ma non incide. E mentre i riflettori si spengono, a restare accesi sono solo gli interrogativi sul futuro: Marelli avrà ancora una storia da scrivere? E sarà ancora una storia italiana?

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