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Riceve il permesso di soggiorno con un mese di ritardo: ora risulta irregolare e può essere espulso.

Burocrazia e paradossi: il caso di un migrante regolare rischia il rimpatrio a causa di errori nei permessi di soggiorno

Il permesso arriva troppo tardi: ora rischia il Cpr. A Torino, un altro caso di burocrazia che punisce chi rispetta le regole

Il permesso arriva troppo tardi: ora rischia il Cpr. A Torino, un altro caso di burocrazia che punisce chi rispetta le regole (immagine di repertorio)

Aveva fatto tutto come andava fatto. Era arrivato in Italia lo scorso anno con il decreto flussi, aveva presentato domanda nei tempi previsti, aveva rispettato ogni scadenza. E invece si ritrova oggi a rischiare il rimpatrio, come se fosse un clandestino qualsiasi. È successo a un uomo di 42 anni, originario del Marocco, che da pochi giorni ha ricevuto il suo permesso di soggiorno, regolarmente approvato, ma datato — secondo quanto riportato dalla Cgil — con effetto retroattivo. Risultato: il documento risulta già scaduto da un mese.

L’uomo, che vive e lavora nel torinese, si è rivolto agli uffici del sindacato per raccontare l’assurdità della vicenda. Non è un caso isolato: nella sua nota, la Cgil parla apertamente di “situazione kafkiana”, ma anche di un fenomeno diffuso e strutturale. Un sistema di rilascio dei titoli di soggiorno lento, inefficiente, farraginoso, che colpisce proprio quelle persone che cercano di seguire le regole e costruirsi una vita regolare.

Secondo il sindacato, ritardi simili espongono migliaia di migranti non solo alla marginalizzazione sociale, ma anche a rischi ben più concreti. È il caso del 42enne marocchino: senza un permesso valido, anche solo per qualche giorno, può essere considerato irregolare e quindi essere rinchiuso in un Cpr, in attesa di rimpatrio. Il paradosso è che il documento è stato rilasciato regolarmente, solo che la sua validità è stata fatta decorrere dalla data della richiesta, e non da quella della consegna effettiva.

Immagine di repertorio

Una contraddizione che aveva già fatto discutere qualche settimana fa in Emilia Romagna, dove il Tar — in seguito a un ricorso — ha stabilito con chiarezza un principio di buon senso: la validità del titolo di soggiorno deve partire dalla data in cui il documento viene effettivamente consegnato. In caso contrario, come dimostra questo episodio, si aprono scenari grotteschi e discriminatori.

La Cgil chiede ora che questo criterio venga adottato anche nel Piemonte: "Serve una svolta — spiega in una nota — per tutelare i diritti di uomini e donne migranti e riaffermare la legalità dei percorsi amministrativi. Non è accettabile che uno Stato crei una trappola burocratica tale da considerare “irregolari” proprio coloro che hanno fatto tutto secondo le regole".

Non è solo una questione tecnica. Il rischio, sottolineano dal sindacato, è che questi ritardi legittimino nuove forme di sfruttamento. Perché chi è sospeso in un limbo giuridico — senza documenti aggiornati ma nemmeno “clandestino” — è più vulnerabile a ricatti sul lavoro, affitti in nero, esclusione da diritti fondamentali. Non può denunciare, non può curarsi, non può nemmeno spostarsi liberamente.

A Torino, come in molte altre città italiane, la cronica lentezza degli sportelli immigrazione, unita all’assenza di una normativa chiara e coerente, continua a produrre effetti devastanti su persone che cercano solo di vivere e lavorare onestamente. E finché lo Stato non deciderà di correggere queste falle, la legalità continuerà ad avere due pesi e due misure: inflessibile verso i deboli, tollerante con i forti.

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