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Torino, due ciechi insultati per i cani guida: la città resta in silenzio

Fabio e Antonella chiedono al Comune cartelli informativi e più controlli dopo continui episodi di ostilità e minacce

Aggressioni e insulti

Torino, due ciechi insultati per i cani guida: la città resta in silenzio

Nel quartiere Santa Rita, uno dei più popolosi e residenziali di Torino, si consuma ogni giorno una piccola grande ingiustizia, fatta di sguardi torvi, frasi velenose e, in certi casi, minacce vere e proprie. A subirla sono Fabio Ignelzi e Antonella Esposito, una coppia non vedente che, da anni, vive con dignità e autonomia grazie ai propri cani guida, Soraya e Sonic. Eppure, in quello che dovrebbe essere un esempio di convivenza urbana e rispetto reciproco, Fabio e Antonella si trovano spesso vittime di insulti, accuse gratuite e aggressioni verbali. Il motivo? I bisogni fisiologici dei loro cani.

Nonostante esista una normativa chiara, che esenta le persone non vedenti dall’obbligo di raccogliere le deiezioni dei cani guida, i due coniugi fanno di tutto per provare a rispettare comunque le regole. Ma nei momenti in cui non riescono, la reazione di alcuni cittadini è spropositata, ostile, inaccettabile. «Ci urlano contro, ci accusano di essere falsi ciechi, ci seguono per strada con parole pesanti», raccontano, feriti più dalla malizia che dalla maleducazione. Gli episodi si ripetono, sempre con protagonisti adulti e anziani, mentre, raccontano, «i giovani sono molto più rispettosi, più informati, più umani».

Ma negli ultimi giorni la situazione è degenerata. Durante una passeggiata mattutina, uno dei soliti insulti è quasi sfociato in uno scontro fisico. Un passante ha alzato la voce, ha indicato Soraya con tono minaccioso, sostenendo che quella coppia stava “imbrogliando tutti”. È stato un passante più giovane a intervenire per evitare che la lite degenerasse. È stato allora che Fabio e Antonella hanno deciso di scrivere al Comune di Torino, con una mail dettagliata in cui chiedono protezione, informazione, rispetto.

«Non vogliamo favoritismi né corsie privilegiate. Vogliamo solo essere trattati come persone, non come truffatori», spiegano. E propongono soluzioni molto semplici: cartelli informativi da installare nei giardini pubblici e sui marciapiedi, che ricordino alla cittadinanza la normativa vigente e il valore sociale e umano dei cani guida. Chiedono anche un canale dedicato per segnalare comportamenti molesti e persecutori, perché gli insulti continuano a colpire, anche se non lasciano lividi.

Il Comune ha risposto, garantendo che la segnalazione è stata presa in carico da un reparto specialistico che si occuperà delle opportune verifiche. Ma la risposta non ha convinto i due coniugi. «È tutto troppo vago. Non vogliamo burocrazia, vogliamo segnali chiari: basta un cartello, una campagna informativa, qualcosa che dimostri che Torino è una città civile», ribadiscono.

La questione, in apparenza marginale, tocca un nodo profondo: la cultura della disabilità in Italia, ancora troppo spesso legata a stereotipi, ignoranza e sospetti. Fabio e Antonella non sono gli unici a raccontare esperienze simili. Diverse associazioni nazionali, tra cui l’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), denunciano da tempo l’aggressività di alcuni cittadini nei confronti dei cani guida, e l’incapacità collettiva di accettare eccezioni giustificate dalla legge e dal buon senso.

Il Regolamento comunale di Torino, all’articolo 35, prevede espressamente che le persone non vedenti non siano tenute a raccogliere le deiezioni dei loro cani guida, proprio in virtù della loro condizione. Una norma che non esclude la possibilità di collaborare — e infatti Fabio e Antonella tentano comunque di farlo ogni volta che possono — ma che riconosce un limite oggettivo e insuperabile. Invece, nella realtà, si assiste al capovolgimento della regola in colpa, in una città dove troppo spesso il senso civico si trasforma in caccia al diverso.

La proposta dei due coniugi, dunque, è tanto semplice quanto potente: informare per prevenire, spiegare per proteggere, ricordare che dietro ogni cane guida c’è una persona, e dietro ogni insulto un dolore gratuito. In questo senso, l’intervento del Comune potrebbe diventare un modello per altre città italiane, dove situazioni simili vengono vissute nell’isolamento, nel silenzio e nell’umiliazione.

La battaglia di Fabio e Antonella non è una rivendicazione personale. È un atto civico. È la richiesta di una città che non si limiti a intitolare giornate all’inclusione, ma che sappia rispettare le differenze nella quotidianità: in un marciapiede, in un giardino, in un incrocio, dove la dignità non ha bisogno di riconoscimenti speciali, ma solo di non essere calpestata dalla cattiveria.

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