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02 Luglio 2025 - 11:01
No all’allevamento-lager ad Arborio. Proteste contro il progetto da 300mila galline a 1500 metri dalle case
Un enorme capannone tra le risaie, 300.000 galline stipate in un allevamento intensivo, a soli 1500 metri dalle prime abitazioni del paese. Il progetto, presentato nei mesi scorsi per la realizzazione di una maxi struttura avicola nel cuore del territorio vercellese, ha scatenato l’ira dei cittadini, delle associazioni ambientaliste e, da ieri, anche il sostegno politico ufficiale del Movimento 5 Stelle, che tramite il consigliere regionale Sean Sacco e la consigliera Sarah Disabato, ha dichiarato guerra all’iniziativa.
Il progetto prevede la costruzione di un allevamento intensivo di galline ovaiole, in grado di ospitare circa 300.000 capi su un’area di 23.800 metri quadrati, con un consumo annuo stimato di 23.000 metri cubi d’acqua e l’immissione in atmosfera di 19 tonnellate di ammoniaca. Dati che, da soli, bastano a rendere l’idea dell’impatto ambientale previsto. Ma il problema, denunciano i comitati locali, non è solo l’inquinamento: c’è anche la sofferenza animale, la svalutazione degli immobili circostanti e un uso dissennato del suolo in un momento in cui la crisi climatica chiede ben altre direzioni.
«Non vogliamo un futuro fatto di allevamenti-lager» tuona Disabato, che ha annunciato battaglia anche in Consiglio Regionale: «Vogliamo un futuro di rispetto per gli animali, tutela dell’ambiente e salute per le comunità locali. Questo progetto va fermato prima che sia troppo tardi».
A opporsi con forza è anche il Comitato RISO (Rete Informazione Sostenibilità e Organizzazione), nato ad Arborio e già autore di una raccolta firme molto partecipata. Il comitato ha saputo unire le istanze dei cittadini a quelle del mondo ambientalista e animalista, coinvolgendo associazioni locali e nazionali, decise a impedire che il progetto venga approvato in via definitiva. «Non è questo il tipo di sviluppo che vogliamo», scrivono i promotori, sottolineando come l’area scelta per la costruzione sia a ridosso di due aree protette, le Lame del Sesia e la Garzaia di Villarboit, zone delicate dal punto di vista naturalistico e già soggette a tutela.
C’è poi il tema del consumo di suolo: in un Piemonte sempre più cementificato, colpito da eventi climatici estremi e da una progressiva perdita di biodiversità, autorizzare un insediamento produttivo di queste dimensioni appare una scelta fuori dal tempo. Una “colata di cemento”, come la definiscono i critici, che cancellerebbe un pezzo di paesaggio agricolo per sostituirlo con una filiera che in molti definiscono insostenibile, tanto sul piano ambientale quanto su quello etico.
Non va dimenticata, infine, la prossimità alle abitazioni: 1500 metri in linea d’aria, una distanza che per chi vive ad Arborio significa odori nauseanti, rumore continuo, aumento del traffico di mezzi pesanti e rischio sanitario, oltre a un’inevitabile svalutazione delle proprietà immobiliari circostanti. Molti cittadini parlano di danno permanente, di una scelta calata dall’alto che ignora completamente la volontà popolare.
Il Movimento 5 Stelle ha promesso che porterà il caso in Consiglio Regionale, chiedendo alla Giunta e all’assessorato competente di fermare l’iter autorizzativo e aprire un confronto vero con il territorio. «È inaccettabile – ha dichiarato Disabato – che mentre si parla di sostenibilità e transizione ecologica, si autorizzino progetti di questo tipo, che producono sofferenza animale, consumo idrico enorme e impatti ambientali gravissimi».
La battaglia è appena cominciata, ma il fronte del no sembra destinato a crescere. Per molti abitanti di Arborio non è solo una questione di ecologia o tutela animale: è una questione di dignità e di futuro. E a giudicare dal numero di firme raccolte e dal sostegno trasversale che inizia a maturare, questo non sarà un progetto facile da far passare sotto silenzio.
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