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Vercelli
03 Giugno 2025 - 07:00
Animali esposti a "La Fattoria in Città"
VERCELLI. Per chi, come chi scrive e come molti che leggono, è nato a Vercelli e l'ha frequentata a lungo per studio e per lavoro, trovare il modo di vedere gli «animali della fattoria» non è mai stato un problema: fin da bambini si andava in fattoria (o, secondo la lezione degli Eelst, nell'azienda agricola), ed erano lì. Appena fuori dalla cerchia dei viali le nostre campagne erano e sono tuttora punteggiate da cascine in cui vengono allevati bovini, ovini, suini e animali da cortile; non siamo a New York ma nemmeno a Milano: avendo già dalle elementari compagni di classe figli di agricoltori e allevatori, le mucche le galline e le oche (e i conigli, le capre, gli asini, i maiali, le anatre) facevano parte del nostro immaginario, e della nostra realtà, fin da piccoli. E comunque già allora - ventesimo secolo, non medioevo - le maestre organizzavano, una volta l'anno, un'uscita in cascina, e poi tornati in aula ci facevano disegnare gli animali e imparare che la pecora bela, il pulcino pigola e l'oca starnazza.
Ora: non si vuol dire che gli animali nelle stalle e negli allevamenti stiano bene, la questione è ampia e complessa e merita ben altra trattazione; ma già Umberto Saba parlando a una capra legata in un prato sentiva che «quell’uguale belato era fraterno al mio dolore», e sappiamo tutti che questi animali - e i loro antenati, da secoli - stanno negli stabbi e nei pollai per dare uova, latte, ecc. fino al momento d'esser macellati e finire in pentola. Però intanto stanno lì, «in fattoria», a due passi da casa nostra, nella categoria - che può piacere o meno - «animali della fattoria», e chi vuole vederli e portarci i bambini può andare lì: in campagna, non in città.
Poi, una ventina d'anni fa, all'Ascom vercellese qualche genio del marketing ha pensato: ma perché, una volta l'anno, gli animali della fattoria - e anche quelli non della fattoria - non li portiamo in città? Non per far loro cambiare aria (in peggio, comunque), ma per utilizzarli come attrattore per una fiera di attività economiche “altre”, che con la fattoria hanno ben poco a che vedere. La fiera dell'uso strumentale degli animali a fini di commercio: portare in centro le capre per attirare gli allocchi (quelli umani, quelli con il portafogli). E così è nata “La Fattoria in Città”, che tra amici chiamiamo “la concessionaria in città” perché è una fiera che è via via divenuta soprattutto una vetrina di auto nuove e scintillanti parcheggiate qua e là, così uno capisce subito chi è il presidente dell'Ascom locale e cosa vende. Fiera che gode dell'appoggio di Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio e Fondazione Cassa di Risparmio, con i loro rappresentanti tutti presenti e gongolanti alla photo-opportunity del taglio del nastro: di pavoni, alla “Fattoria in città”, non ci sono solo quelli con il becco.
Dice: «ah, ma cosa c'è che non va, ai bambini piace, possono vedere e toccare gli animali»: e infatti, beata innocenza, hanno messo i bambini nel logo della manifestazione. Esattamente come dicevano nel secolo scorso quelli che, bambino, ti portavano allo zoo. Con la differenza che allo zoo c'erano le scimmie e le tigri e gli ippopotami (che - osservazione personale - messi lì nelle gabbie e nei recinti facevano pena), che sennò per vederli dovevi andare fino in Africa o in Asia; mentre qui, costretti negli stand, sotto i teloni, dietro le transenne, ci sono le mucche e i polli e i conigli, che per vederli - e farli vedere ai bambini - basterebbe andare a Prarolo o ad Asigliano, non in Tanzania o nel Botswana. Ma qui a Vercelli, in mezzo a decine di stand che con l'idea di fattoria non c'entrano nulla ma che costituiscono il vero business della fiera, c'è di bello che puoi coccolare il vitellino o la pecorella prima di sederti sotto i gazebo poco più in là a mangiarli sotto forma di hamburger e di arrosticini, mentre quelli dell'Ascom si fregano le mani.
E siccome «si va a vedere gli animali», chissenefrega se non sono «quelli della fattoria», mica vogliamo star qui a sottilizzare (lana caprina, stavo per scrivere): la manifestazione vercellese si distingue da anni per la “falconeria”, che con la fattoria c'entra come i cavoli a merenda; in fiera ci sono uccelli rapaci incatenati a terra o al trespolo: il gheppio americano, il gufo siberiano, l'allocco malese (tutti «animali del nostro territorio», come no) che vorrebbero solo volar via da questo inferno di gente vociante. Probabilmente alle fiere del XIII secolo nel regno di Federico II di Svevia, quando la falconeria era una nobile arte praticata da pochi e non una dozzinale attrazione per famiglie annoiate, c'era più rispetto per questa categoria di animali.
In questa fiera dell'ipocrisia si distingue come sempre il sedicente ambientalista-animalista Gian Carlo Locarni, consigliere comunale della Lega-Salvini e capo del Dipartimento Ambiente piemontese del partito: che sui social posta quotidianamente manifesti e slogan a testimonianza dell'impegno suo e della Lega per il benessere animale, ma poi - siccome i voti li deve prendere a Vercelli e dintorni - plaude alle corse dei buoi e degli asini e a manifestazioni come questa, serbatoio di consensi per la destra vercellese. Uno per il quale il cane legato alla catena no, non va bene, è maltrattamento, mentre il povero barbagianni analogamente legato alla catena è educativo per i bambini. Prima o poi, con la coerenza che lo contraddistingue, lo vedremo inneggiare al vegetarianesimo facendosi fotografare mentre divora una bistecca.
Il taglio del nastro dell'edizione 2025
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