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Porta Susa: slitta ancora il rilancio del simbolico scalo ferroviario, tra degrado e promesse disattese

Rinascita sospesa: il progetto “Scalo 1856” di Torino rinviato di sei mesi tra problemi strutturali e carenza di imprese edili

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Porta Susa: slitta ancora il rilancio del simbolico scalo ferroviario, tra degrado e promesse disattese

Torino dovrà aspettare ancora per la trasformazione dell’ex stazione di Porta Susa, luogo simbolico del passato ferroviario cittadino, oggi ridotto a rudere abitato dal degrado. I lavori di riqualificazione, annunciati per giugno 2025, slittano di almeno sei mesi. A comunicarlo è Vastint Italy, la società proprietaria dell’area, che ha indicato dicembre come nuova data di apertura del cantiere.

A bloccare l’avvio dell’intervento sono stati due fattori. Da un lato, le criticità strutturali emerse nella fase finale di progettazione: alcune problematiche dell’edificio storico non erano state previste inizialmente e hanno richiesto una revisione degli elaborati tecnici. Dall’altro, la carenza di imprese edili disponibili nel periodo estivo ha impedito la partenza dell’opera. Un doppio ostacolo che ha congelato l’attesa rinascita dell’area.

Il progetto si chiama “Scalo 1856”, dal nome che evoca l’anno di fondazione della stazione. L’operazione prevede la costruzione di un hotel di sette piani, con 203 camere, un ristorante a doppia altezza, una terrazza panoramica, sale meeting e un lounge bar affacciato su piazza XVIII Dicembre. Il cantiere durerà due anni e comporterà un investimento complessivo di 40 milioni di euro.

Per ora, però, il panorama è ben diverso. In piazza XVIII Dicembre restano i ponteggi montati dopo il crollo del tetto dell’ex biglietteria, avvenuto nel giugno 2023. All’epoca cedettero più di 200 metri quadrati di travi e tegole, mentre l’edificio era in stato di abbandono da oltre quindici anni. Solo il caso evitò conseguenze tragiche, dato che l’ex scalo era frequentato da senzatetto e persone in cerca di riparo, che in quel momento si erano allontanate.

Nonostante le rassicurazioni seguite al crollo, la situazione non è migliorata. Anzi, nelle ultime settimane, si è registrato un nuovo aumento dei bivacchi. Un varco aperto tra le transenne consente l’accesso alla struttura, dove oggi si trovano materassi arrotolati, bottiglie vuote, rifiuti e coperte, segni evidenti della presenza di persone che hanno fatto del rudere una sistemazione di fortuna.

Chi attraversa l’area vede solo muri scrostati e calcinacci. Là dove in futuro dovrebbero sorgere vetrate moderne e spazi condivisi, oggi domina l’incuria. Anche la promessa di un giardino pubblico, con panchine e giochi per bambini, sembra lontana. Per ora il “verde” è una distesa d’erba alta, costellata di cartacce, bottiglie e sacchi abbandonati.

Il progetto era stato approvato dalla Soprintendenza già otto mesi fa. All’epoca, Vastint aveva parlato di un albergo sostenibile, realizzato con moduli in legno prefabbricati e materiali ecocompatibili. Una struttura progettata per integrarsi con l’ambiente urbano, senza rinunciare alla funzionalità. L’annuncio aveva creato ottimismo, ma i cantieri sono rimasti chiusi.

Ora l’azienda prevede di pubblicare entro inizio luglio i bandi per l’assegnazione dei lavori. L’obiettivo è selezionare le ditte entro l’autunno, tra ottobre e novembre, per poi partire con gli scavi preliminari e l’installazione delle prime strutture. Ma anche questa scadenza dipenderà dalla disponibilità reale delle imprese e dall’assenza di nuovi intoppi.

Il nodo rimane la gestione dell’attesa. Piazza XVIII Dicembre è uno snodo urbano centrale, tra la nuova stazione, i collegamenti della metropolitana e il traffico veicolare. Vederla occupata da ponteggi fatiscenti, recinzioni divelte e cumuli di rifiuti mina l’immagine della città e aggrava il senso di abbandono del centro storico.

Mentre Torino punta sulla valorizzazione degli spazi urbani e sull’attrattività turistica, il caso dell’ex Porta Susa rappresenta un controesempio evidente. Un luogo di transito e memoria ridotto a terra di nessuno, in attesa di un cantiere che continua a non partire. E che, nel migliore dei casi, comincerà con sei mesi di ritardo.

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