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Diocesi di Ivrea, il Vicario "rinuncia". Vescovo con il cerino in mano

Salta la nomina chiave dopo appena 48 ore. La base insorge, Salera brucia la sua prima mossa

Diocesi di Ivrea, il Vicario "rinuncia". Vescovo sotto accusa e con il cerino in mano

Non è durato neanche un giorno il nuovo corso della Curia eporediese. Don Luca Meinardi, il prete scelto dal vescovo Daniele Salera come Vicario generale – ovvero il suo braccio destro, il sostituto diretto, l’uomo di fiducia per la guida ordinaria e straordinaria della diocesi – ha rinunciato a tutti gli incarichi il 6 giugno, appena due giorni dopo la lettera pastorale che lo annunciava come perno del nuovo assetto. Ha detto “no” come l’uomo Del Monte.

La motivazione ufficiale? “Motivi personali”. Ma dietro c’è molto di più.

Secondo quanto trapela da fonti interne alla diocesi, la nomina di Meinardi avrebbe suscitato non poche perplessità già nelle ore successive alla sua diffusione. Stando a chi ne sa di più, le critiche sarebbero state tali e tante da spingere Salera ad accettare senza esitazioni una rinuncia che, a detta di molti, è più una resa obbligata che una scelta spontanea.

E così, a pochi giorni dall’avvio formale del nuovo assetto diocesano, la Curia si ritrova orfana del suo vicario. Un ruolo chiave, quello di Meinardi: avrebbe dovuto essere il motore amministrativo, spirituale e strategico dell’intera diocesi, la figura più vicina al vescovo. Invece, tutto è già da rifare.

Ma come si è arrivati a questo clamoroso autogol?

Chi conosce i meccanismi interni della Diocesi di Ivrea parla chiaro: Salera si è mosso in fretta. Troppo in fretta. Ha avviato un riassetto degli uffici senza conoscere davvero il clero, senza un reale confronto con tutti i presbiteri, senza quel “sondaggio” informale che i suoi predecessori erano soliti fare per tastare il polso alla comunità e discernere le figure più autorevoli.

Il risultato? Una serie di nomine che premiano uno schieramento preciso, quello dei preti considerati in diocesi come “gli opportunisti”: abili a presentarsi bene, a vendersi nel modo giusto, ma meno radicati nel territorio, spesso distanti dai problemi concreti delle parrocchie. La nomina di Meinardi, secondo questa lettura, sarebbe solo la punta dell’iceberg.

E ora? Chi sarà il nuovo Vicario?

È ancora presto per dirlo, ma i nomi iniziano a circolare. Il primo è quello di don Gianmario Cuffia, fino a poco fa il “numero 2” della diocesi, carica che ha detenuto fin dal 2018, e ora nominato Cancelliere, cioè un “semplice passacarte”. Figura di esperienza, conosce molto bene le dinamiche curiali. Oppure potrebbe tornare in campo monsignor Silvio Faga: uomo stimato, presenza solida, riferimento per tanti. Ma non si esclude nemmeno una sorpresa, con un nome nuovo, più giovane, forse per segnare davvero un cambio di passo, ma questa volta con più attenzione ai reali equilibri della diocesi.

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Di certo, questa vicenda segna una battuta d’arresto per il nuovo vescovo, che aveva esordito con entusiasmo e decisione, annunciando una nuova fase di ascolto, programmazione e formazione.

L’episodio Meinardi lascerà il segno: la “toppata” è evidente, anche perché il Vicario generale non è un funzionario qualunque, è il volto della diocesi quando il vescovo non c’è, è il garante della continuità, è – di fatto – colui che regge il timone nella quotidianità pastorale e amministrativa.

E invece, dopo meno di 72 ore dalla sua nomina, quel timone è già senza mani

Nell’attesa di una nuova scelta, la diocesi guarda a Salera con occhi diversi: l’auspicio è che il prossimo nome non venga scelto per affinità o apparenza, ma per reale autorevolezza riconosciuta, da chi la Chiesa eporediese la vive ogni giorno, nelle parrocchie, nelle valli, tra la gente.

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Ricapitolando...: l’arte di non telefonare

Due ipotesi in campo... La prima: la rinuncia di Meinardi è frutto della levata di scudi.
La seconda: nessuna levata di scudi, solo motivi personali.
Ma se è vera la seconda, allora viene una domanda semplice semplice:
possibile che il vescovo Salera, prima di scrivere nero su bianco che don Meinardi sarebbe stato il suo Vicario generale, non gli abbia chiesto se era d’accordo? Una telefonata. Una. Anche su WhatsApp. Anche un vocale. “Ciao Luca, pensavo a te come mio numero due. Che ne dici?”

Perché se la telefonata non c’è stata, allora siamo all’autogestione liturgica.
Se invece c’è stata e Meinardi ha detto sì, per poi sfilarsi dopo 48 ore, allora siamo al teatrino. In ogni caso: non è un bel debutto.

Il risultato è che la diocesi di Ivrea ha un vescovo nuovo, fresco di entusiasmo pastorale, che dopo pochi mesi dall'insediamento  comunica il suo “nuovo corso” e… brucia il Vicario ancora prima che inizi il turno.

Certo, Meinardi non è un martire. Ma neppure un esordiente. Era considerato in ascesa, uno di quelli bravi, che avrebbero ben potuto aspirare a succedere al Vescovo Arrigo Miglio in quel di Cagliari. Qualcuno dice: si è venduto bene. Qualcun altro: era il nome giusto per lo schieramento sbagliato. Sta di fatto che nel giro di qualche ora la base ha cominciato a mugugnare. E non erano solo parrocchiani nostalgici. Erano preti. Quelli che la diocesi la tengono in piedi ogni giorno, tra messe, bollette, cantieri e funerali. 

E allora il vero problema non è Meinardi. Il problema è Salera.
Non conosce la diocesi, e ci sta. È appena arrivato. Ma ha fatto finta di conoscerla. E ha fatto tutto da solo.
Nessun confronto, nessuna verifica, nessuna telefonata – a parte quella che, forse, sarebbe servita.

I vescovi precedenti, per quanto criticabili, facevano almeno una cosa utile: chiedevano in giro. Sondavano. Capivano chi era credibile e chi solo ben piazzato.
Salera no. Ha guardato la mappa, ha scelto, ha annunciato. Poi gli è scoppiata in mano.

Il guaio è che la figura del Vicario non è decorativa. È il sostituto del vescovo. È quello che regge la baracca. Che tiene i nervi saldi mentre gli altri pregano.
Bruciarlo in 48 ore significa una cosa sola: non saper leggere il campo.
Che, per un pastore, è un problema.

E la cosa più comica – se non fosse tragica – è che tutto questo accade dopo una lettera pastorale di 14 pagine dove si parlava di ascolto, sinodalità, carismi, comunità e discernimento.
Discernimento? Ma se non si è riusciti a capire neanche se uno vuole fare il Vicario o no.

E ora? Ora si rincorrono i soliti nomi. Don Cuffia, che fino a ieri era il numero due e oggi è un cancelliere, cioè una specie di notaio con la talare.
Monsignor Faga, stimato, preparato, ma troppo legato a un passato che Salera vorrebbe superare.
Oppure un volto nuovo, magari giovane, magari sconosciuto, magari peggio.
Ma stavolta, si spera, qualcuno alzi la cornetta prima di scrivere il comunicato.

Nel frattempo la diocesi resta senza guida operativa. E Salera resta col cerino in mano.
Benvenuto a Ivrea.

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