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05 Giugno 2025 - 11:20
Referendum 8-9 giugno: cosa si vota, in parole semplici
L’8 e 9 giugno 2025, gli italiani sono chiamati a votare per un referendum, cioè una votazione dove ognuno può dire “sì” o “no” per cambiare o tenere delle leggi esistenti. I seggi saranno aperti domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. Si vota su cinque temi che riguardano il mondo del lavoro e la cittadinanza per gli stranieri.
Ecco, con parole semplici, cosa chiedono questi cinque quesiti:
Licenziamenti facili (Jobs Act)
Si vuole cancellare una parte del Jobs Act (legge del 2015) che rende più facili i licenziamenti per chi è stato assunto con un contratto a “tutele crescenti”.
Se voti Sì, vuoi cancellare questa regola e rendere più difficile il licenziamento.
Se voti No, vuoi mantenere la regola così com’è.
Licenziamenti nelle piccole aziende
Nelle aziende con meno di 16 dipendenti, oggi il lavoratore ha meno tutele se viene licenziato.
Con il Sì, si vuole eliminare questa differenza e dare più tutele anche ai lavoratori delle piccole imprese.
Con il No, si lascia tutto com’è.
Contratti a termine
Oggi le aziende possono fare contratti a tempo per un massimo di tre anni, con delle regole. Il referendum vuole togliere alcune di queste regole.
Votando Sì, si eliminano i limiti e si rende più semplice rinnovare contratti a termine.
Votando No, si mantengono i limiti attuali per proteggere i lavoratori.
Sicurezza sul lavoro negli appalti
Quando un’azienda dà un lavoro in appalto a un’altra, oggi non sempre è responsabile se succede un infortunio.
Con il Sì, si vuole che anche chi dà il lavoro (il committente) sia responsabile per la sicurezza.
Con il No, si lascia la responsabilità solo a chi esegue il lavoro.
Cittadinanza per gli stranieri
Attualmente uno straniero che vive legalmente in Italia può chiedere la cittadinanza dopo 10 anni. Il referendum chiede di abbassare questo tempo a 5 anni.
Se voti Sì, vuoi che si possa diventare italiani dopo 5 anni.
Se voti No, vuoi che resti il limite dei 10 anni.
Ogni quesito sarà su una scheda di colore diverso. Puoi scegliere di votare per tutti i quesiti o solo per alcuni. Basta barrare “Sì” o “No”.
Molti dicono: “Non vado a votare, tanto non cambia nulla”. Ma proprio perché il referendum serve per decidere se una legge resta o si cancella, non votare significa lasciare agli altri la scelta anche per te. È un po’ come essere in condominio e non andare all’assemblea: poi, però, non puoi lamentarti se cambiano l’ascensore o tagliano l’acqua calda.
Non servono lauree o grandi discorsi per votare. Serve solo un po’ di attenzione e un’opinione, anche semplice. Se voti Sì, vuoi cambiare una legge. Se voti No, vuoi tenerla. Ma se non voti affatto, il referendum potrebbe non essere valido perché serve che partecipi almeno il 50% degli elettori più uno. E se non si raggiunge questa soglia, tutto resta com’è, anche se milioni avessero votato “Sì”.
Non è propaganda. È un dato di fatto: non votare è già una scelta, ma spesso è quella che aiuta chi non vuole cambiare nulla.
Molti politici, soprattutto quelli contrari ai quesiti del referendum, stanno dichiarando di non andare a votare o addirittura invitando i cittadini a non recarsi alle urne per una strategia ben precisa: far fallire il referendum non raggiungendo il quorum.
Il referendum abrogativo, per essere valido, ha bisogno che vada a votare almeno il 50% + 1 degli elettori. Se questa soglia non viene raggiunta, anche se vincesse il "Sì", la legge non cambia. Quindi, non votare può diventare una forma indiretta di vittoria per chi vuole che le leggi restino com’erano.
Questa non è una novità nella politica italiana. Già in passato partiti e leader hanno scelto l’astensione come tattica, per esempio su temi controversi come giustizia, energia, diritti civili. È un modo per evitare lo scontro diretto e per non rischiare una bocciatura popolare che potrebbe indebolirli politicamente.
In questo referendum 2025, diversi esponenti del centrodestra, compresi alcuni presidenti di Regione, hanno espresso pubblicamente la scelta di non andare a votare. Lo ha fatto ad esempio Alberto Cirio, presidente del Piemonte, dichiarando che non votare è una scelta politica legittima, citando anche precedenti storici. Lo stesso vale per altri partiti che vedono in questi quesiti (come quello sulla cittadinanza o sui diritti dei lavoratori) un rischio politico o una direzione che non condividono.
C’è chi la considera una forma coerente di opposizione, e chi invece la ritiene una fuga dalle proprie responsabilità istituzionali, soprattutto quando a dirlo sono esponenti pubblici eletti. Per molti cittadini, l’idea che un politico inviti esplicitamente a non partecipare a un voto popolare appare contraddittoria rispetto al ruolo che dovrebbe rappresentare.
I politici che invitano all’astensione non lo fanno per “disinteresse”, ma per evitare che il referendum superi il quorum. È una tattica politica, legittima ma discussa, che sfrutta il fatto che l’astensione vale quanto un voto contrario, se l’obiettivo è far naufragare il referendum.
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