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L’Ordine dei Medici di Torino: “Pfas nelle acque piemontesi, siamo tutti coinvolti”

Dopo la sentenza di Vicenza che ha collegato un decesso alla contaminazione da Pfas, l’Ordine dei Medici di Torino lancia un allarme locale: “Situazione seria anche in Piemonte, coinvolti 70 comuni e oltre 125.000 persone”

L’Ordine dei Medici

L’Ordine dei Medici di Torino: “Pfas nelle acque piemontesi, siamo tutti coinvolti”

Non è un pericolo lontano, non è un problema confinato al Veneto. L’inquinamento da Pfas — le cosiddette “sostanze chimiche eterne” — è una realtà anche piemontese. A rilanciare l’allarme è l’Ordine dei Medici di Torino, che in una nota ufficiale invita a non sottovalutare una contaminazione ormai accertata in diverse aree del territorio. Un appello che arriva a pochi giorni dalla storica sentenza di Vicenza, in cui per la prima volta un tribunale ha collegato un decesso alla contaminazione da Pfas, tracciando una linea netta tra inquinamento ambientale e responsabilità sanitaria.

I dati sono inquietanti. Un report di Greenpeace, pubblicato nei primi mesi del 2024 grazie a un accesso agli atti presso SMAT — la Società Metropolitana Acque Torino — ha fatto emergere livelli significativi di Pfoa, una delle varianti più pericolose dei Pfas e classificata come probabile cancerogeno per l’uomo. Le zone coinvolte? Torino, la Val di Susa e altri comuni della Città Metropolitana, con una stima di oltre 125.000 persone potenzialmente esposte e 70 comuni interessati.

Pfas nell'acqua, i medici sono preoccupati

L’Ordine dei Medici parla di un fenomeno diffuso, già documentato da indagini indipendenti successive, e lancia un appello chiaro: “Serve una nuova forma di vigilanza sanitaria e tutela attiva dei pazienti. Non basta l’allarme: occorre informare, monitorare, prevenire e — soprattutto — pretendere risposte dalle istituzioni”.

I Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) sono una vasta classe di composti chimici utilizzati per rendere impermeabili o antiaderenti tessuti, carta, vernici, pentole e materiali industriali. Ma la loro struttura molecolare li rende resistenti alla degradazione, quindi persistono nell’ambiente e nell’organismo umano per anni. L’esposizione, anche a dosi minime ma prolungate, è associata a malattie endocrine, problemi alla fertilità, tumori e disturbi del sistema immunitario.

Secondo l’Ordine torinese, “l’unica vera difesa è l’accesso alle informazioni. I cittadini hanno il diritto di sapere cosa c’è nella loro acqua, e cosa le autorità stanno facendo per proteggerli”. Una posizione che chiede trasparenza, investimenti in sistemi di filtraggio avanzati, ma anche sorveglianza epidemiologica nei territori più colpiti.

In Piemonte il tema è ancora sottotraccia nel dibattito pubblico, ma i segnali sono chiari: le analisi esistono, gli indicatori pure. A fare la differenza, ora, è la volontà politica di intervenire con rigore, per non ritrovarsi tra qualche anno a leggere sentenze che potevano essere evitate. Come quella, appunto, di Vicenza.

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