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Salute
20 Maggio 2025 - 10:53
Mancata adesione agli screening oncologici: oltre 50mila diagnosi sfumate nel 2023
Oltre 50mila tumori e lesioni pre-cancerose non identificati. È il drammatico prezzo pagato nel 2023 da un Paese che, nonostante disponga di screening oncologici gratuiti e garantiti nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), continua a registrare tassi di adesione bassissimi. A lanciare l’allarme è la Fondazione Gimbe, che ha analizzato i dati più recenti dell’Osservatorio nazionale screening (Ons), evidenziando uno scollamento profondo tra l’offerta pubblica e le scelte dei cittadini.
Su quasi 16 milioni di persone invitate a partecipare ai programmi di screening, solo 6,9 milioni hanno aderito, con una copertura ancora lontanissima dal target europeo del 90% previsto entro il 2025. Secondo Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, «questa disaffezione mette a rischio lo strumento più potente che abbiamo per diagnosticare precocemente i tumori e ridurne l’impatto su vite umane e sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».
I numeri parlano chiaro: 1 persona su 2 non effettua lo screening per mammella e cervice, mentre 2 su 3 rinunciano a quello per il colon-retto. Il risultato? Nel solo 2023, sono sfuggiti alla diagnosi oltre 10.900 carcinomi della mammella, di cui 2.400 invasivi di piccole dimensioni, circa 10.300 lesioni pre-cancerose del collo dell’utero, oltre 5.200 tumori del colon-retto e quasi 24.700 adenomi avanzati. Lesioni che, se intercettate per tempo, avrebbero potuto aprire la strada a trattamenti meno invasivi e a prognosi nettamente migliori.
A pesare, secondo Gimbe, sono diseguaglianze territoriali marcate: tra una Regione e l’altra cambiano modalità di invito, strategie di recupero, copertura della popolazione target, creando una vera geografia della prevenzione in cui il diritto alla diagnosi precoce diventa una lotteria di residenza. In alcune aree si fatica perfino a garantire gli inviti, in altre mancano strumenti per coinvolgere chi rifiuta o ignora l’appuntamento.
Eppure, fa notare Cartabellotta, il paradosso è evidente: «Da un lato, milioni di persone sono in lista d’attesa per esami diagnostici spesso inutili o non appropriati, dall’altro trascurano appuntamenti gratuiti e mirati che potrebbero salvare loro la vita. Questo squilibrio mina le fondamenta stesse del sistema sanitario».
Gli screening oncologici attualmente previsti nei Lea includono:
Mammografia per le donne tra 50 e 69 anni (in alcune regioni estesa dai 45 ai 74);
Pap test o HPV test per la cervice uterina tra i 25 e i 64 anni;
Test per il colon-retto tra i 50 e i 69 anni, con estensione possibile fino ai 74.
Gimbe sottolinea che il trend è in lieve crescita, ma insufficiente. Serve una campagna di informazione capillare, ma anche politiche più efficaci di coinvolgimento e accesso, soprattutto per le fasce vulnerabili e per chi vive in contesti sociali o geografici marginali. Perché la prevenzione è un diritto, ma anche una responsabilità collettiva.
E il tempo per invertire la rotta si sta esaurendo. Se la cultura della salute non cambia, saranno i numeri — e le vite perse — a presentare il conto.
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