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14 Maggio 2025 - 12:02
Commercianti nemici? A Chivasso sì, a Torino no
Cinquecento euro di debito. A Chivasso basta questo per vedersi sospendere un’attività commerciale. Cinquecento euro con Palazzo Santa Chiara, una diffida, novanta giorni di agonia amministrativa e poi la revoca della licenza. Fine dei giochi.
Poco importa se quel debito è frutto di una dimenticanza, di una contestazione in corso o del fatto che magari il cassonetto, nel frattempo, non è nemmeno mai stato svuotato. La legge qui si applica con la grazia di un bulldozer. E a calcare l’acceleratore sono un sindaco e un’assessore del Partito Democratico: Claudio Castello e Chiara Casalino con deleghe a Bilancio, Tributi e Commercio.
Strano, no? Perché a Torino, guidata da un sindaco dello stesso partito, Stefano Lo Russo, si va con i piedi di piombo. Anche lì si discute di evasione tributaria e morosità sulle imposte locali, ma le scelte, pur ferme, hanno il sapore della ragionevolezza. Ne scrive il Corriere della Sera di ieri. A Torino si parla di agire verso i commercianti morosi solo sopra la soglia dei 50.000 euro di debito. Una cifra che fa capire che si vuole colpire davvero i “furbetti” e non massacrare il piccolo commercio in difficoltà. Una cifra che consente margine, dialogo, recupero. A Chivasso invece no. Qui il commerciante in difficoltà è visto come un nemico, un evasore da punire con l’esilio economico. Altro che sinistra solidale.
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Che cosa sia passato nella testa di questa amministrazione resta un mistero. Di certo, l’incontro di ieri in Comune, tra giunta e rappresentanti del commercio, non ha chiarito nulla. Nessuna apertura, nessun passo indietro. Solo sguardi gelidi, frasi di rito e promesse di altri incontri. Nel frattempo, i negozianti si ritrovano con l’ennesimo fardello: parcheggi blu come trappole e una Tari che nel 2025 schizzerà all’11,8% in più. Altro che sostegno al commercio locale. Qui si lavora con il martello.
Eppure qualcuno prova ancora a mediare. Questa sera, mercoledì 14 maggio alle ore 20.45, sarà Claudia Buo, consigliera comunale di Liberamente Democratici, a promuovere un nuovo confronto. Un incontro che ha il sapore dell’ultima spiaggia. Perché lunedì si torna in Consiglio comunale, e lì si discuteranno le mozioni delle opposizioni. Sarà il momento della verità. L’ultima occasione per la giunta Castello per dimostrare di essere in grado di ascoltare, correggere, cambiare rotta. Ma, stando ai precedenti, c’è poco da illudersi.
La proposta di Claudia Buo è articolata, concreta, fondata su numeri e dati. E parte da una considerazione tanto semplice quanto sacrosanta: un Comune che vanta oltre 2,1 milioni di euro di avanzo libero non può accanirsi sui commercianti per fare cassa. Può – anzi, deve – usare parte di quelle risorse per calmierare gli aumenti e ristabilire un minimo di equità fiscale. Chiede che almeno 610.000 euro vengano utilizzati per annullare l’aumento TARI, riportando il piano tariffario ai livelli del 2024. Ma chiede anche di più: di rivedere la distribuzione del carico fiscale, oggi sbilanciato a favore delle utenze domestiche, e soprattutto di modificare un regolamento che prevede sanzioni automatiche, sproporzionate, fuori da qualsiasi logica di buon senso.
Torino insegna, verrebbe da dire. Ma sembra che da queste parti si preferisca imparare da altre scuole. Quelle dove si governa senza ascolto, senza proporzionalità, dove ogni critica è un attacco personale e ogni voce fuori dal coro è vista come sabotaggio. E se a pagare sono i piccoli commercianti, pazienza. Colpa loro, colpevoli di esistere.
Il parallelo con Torino non può essere ignorato. Stesso partito, due visioni opposte. Da una parte un’amministrazione che agisce con equilibrio, rispettando chi lavora, stabilendo soglie di tolleranza realistiche. Dall’altra una giunta che predica dialogo e pratica repressione. La differenza? La visione politica. Lì si governa. Qui si comanda. Lì si costruiscono percorsi condivisi. Qui si disegna la ghigliottina e si aspetta che cada.
Ma davvero un Comune come Chivasso può permettersi di perdere il proprio tessuto commerciale? Davvero ha senso trattare ristoratori, negozianti, artigiani come evasori seriali, senza nemmeno una verifica preventiva, senza cercare una mediazione? 500 euro di morosità non giustificano la sospensione di un’attività. È una cifra che può derivare da un conguaglio sbagliato, da una bolletta contestata, da un errore dell’ufficio. E invece qui diventa una condanna.
Nel frattempo, la città sprofonda nel paradosso. Da un lato si finanziano bandi per sostenere il commercio, si celebrano i Distretti Urbani, si annunciano progetti di rilancio. Dall’altro si impongono misure che fanno scappare le attività. Si chiede fiducia, ma si agisce con diffidenza. Si predica il confronto, ma si chiudono le porte. Non stupisce, allora, che i commercianti siano sul piede di guerra. Che l’Ascom parli di “cecità fiscale” e “scelte calate dall’alto”. Che persino le categorie più moderate stiano pensando di abbandonare i tavoli.
Claudio Castello e Chiara Casalino hanno una responsabilità. Non solo politica, ma sociale. Hanno il dovere di rappresentare tutti, non solo chi applaude. Devono scegliere: continuare su una strada che isola e distrugge, o tornare a una politica di equilibrio e giustizia. Quella che a Torino – almeno – pare ancora essere la bussola.
Lunedì sarà un passaggio decisivo. Le mozioni delle opposizioni rappresentano più di un atto formale. Sono un grido d’allarme, una richiesta d’aiuto. Se la maggioranza sceglierà di ignorarle, allora il muro diventerà definitivo. E da quel momento, ogni striscione, ogni vetrina chiusa, ogni attività che abbassa la saracinesca sarà anche responsabilità loro.
E chissà, forse in quel momento qualcuno a Palazzo Civico, guardando via Torino svuotarsi, si domanderà se ne sia valsa la pena.
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