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Sanità italiana: +47% degli infermieri non italiani, ma abbiamo un problema con i diritti dei lavoratori

Dal 2020 +47% di infermieri non italiani: la sanità pubblica si regge su di loro, ma tra precarietà e barriere linguistiche in molti restano fuori dagli albi professionali

La sanità italiana

La sanità italiana: +47% degli infermieri non italiani, ma abbiamo un problema con i diritti dei lavoratori

Sono 43.600 gli infermieri stranieri presenti oggi in Italia, oltre 17.000 in più rispetto al 2020. Un’impennata che fotografa con esattezza la nuova geografia della sanità italiana: sempre più multietnica, sempre più dipendente da chi arriva da fuori. A rivelarlo è l’indagine Amsi-Umem-Uniti per Unire-Aisc, diffusa in occasione della Giornata internazionale degli infermieri. Lo studio, guidato dal medico e giornalista internazionale Foad Aodi, racconta una realtà fatta di turni massacranti, competenze altissime e percorsi professionali irregolari. Perché se da un lato l’Italia ha aperto le porte, sull’onda dell’emergenza Covid e del Decreto Cura Italia, dall’altro ha lasciato molti professionisti nella terra di mezzo: operativi ma senza tutele.

Di quei 43.600 infermieri, solo 26.600 risultano iscritti all’albo. Gli altri, pur formati e impiegati nelle corsie, sono ancora fuori dai percorsi ufficiali. Perché manca la conoscenza dell’italiano, perché i titoli non sono ancora stati riconosciuti, perché il sistema, nel frattempo, si è fermato alla logica dell’emergenza. Ma la pandemia è finita, e la precarietà è rimasta.

Infermieri italiani

Le comunità professionali più presenti arrivano da Romania (12mila), Polonia, Albania, India e Perù, con una distribuzione che tocca soprattutto Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Campania. È nei reparti di Pronto soccorso e lungodegenza di queste regioni che si sente il peso – e il valore – del lavoro degli infermieri stranieri, spesso invisibili nelle narrazioni istituzionali.

Non si può restare precari per sempre, né immigrati per sempre, afferma Aodi, chiedendo che vengano regolarizzati tutti i sanitari entrati con i decreti emergenziali, rafforzati i corsi di lingua, ampliata l’offerta di ECM (Educazione Continua in Medicina) e favorita l’iscrizione all’Albo. Un appello che Amsi rivolge alla Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini infermieristici guidata da Barbara Mangiacavalli, con cui già da anni sono in corso confronti e collaborazioni.

L’Italia non è sola. Anche Francia, Germania e Regno Unito stanno registrando un crescente ricorso al personale sanitario immigrato. Ma se altrove il sistema si struttura per accogliere, da noi regna ancora l’ambiguità: la sanità pubblica si salva grazie agli stranieri, ma si dimentica di tutelarli.

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