Una domanda in stampatello nero su fondo bianco: “Ucraina quanto ci costi?”. Apparsa a caratteri cubitali sui muri di Torino, è la provocazione lanciata dal Movimento Politico Italia Unita, che ha affisso una decina di manifesti nelle principali vie del capoluogo piemontese. A corredo della frase, una riproduzione dell’indice dei prezzi al consumo dal 2022 ad oggi, a suggerire un legame diretto tra il conflitto russo-ucraino e l’aumento del costo della vita.
Amedeo Avondet, presidente del movimento, non lascia spazio a interpretazioni: “Volevamo mostrare i fatti. La sofferenza economica di tanti italiani è figlia delle scelte folli degli ultimi governi. Siamo di fronte a un’inflazione fuori controllo, salari fermi e famiglie in ginocchio, mentre si continuano a finanziare guerre che nulla hanno a che fare con l’interesse del nostro Paese”.
Il bersaglio polemico è duplice: da un lato le politiche economiche ed estere dell’Unione Europea, dall’altro il governo Meloni, accusato di assecondare logiche geopolitiche a scapito delle urgenze sociali interne. Avondet attacca frontalmente anche il mondo industriale: “Invece di sedersi a Leopoli per discutere di ricostruzione e interessi economici, si dovrebbe pensare a come sollevare milioni di italiani dalla povertà assoluta e relativa”.

Il messaggio non è nuovo, ma in un contesto di crescente disagio economico assume una forza comunicativa mirata e dirompente. Torino, città simbolo di crisi industriale, precarietà e aumento del costo della vita, diventa palcoscenico perfetto per una campagna che punta a mettere in discussione il consenso intorno all’impegno occidentale nel conflitto in Ucraina.
La campagna di Italia Unita è già destinata a suscitare polemiche. Da un lato chi vi leggerà una legittima richiesta di priorità nazionali, dall’altro chi accuserà il movimento di strumentalizzare un conflitto sanguinoso e di minare la solidarietà internazionale. Ma per Avondet, opporsi a questa visione dominante è “un atto d’amore per l’Italia”, una presa di posizione valoriale prima ancora che politica.
In un momento in cui l’opinione pubblica è sempre più frammentata, la domanda “Ucraina quanto ci costi?” rischia di diventare non solo uno slogan, ma un detonatore. E nel dibattito sempre più acceso tra interessi globali e sofferenze locali, il confine tra propaganda e riflessione legittima resta pericolosamente sottile.