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05 Maggio 2025 - 17:26
Il Ministro Crosetto
La lettera è lunga, articolata, argomentata. Ma il messaggio, alla fine, si può riassumere in una frase sola: basta con l’ipocrisia, basta con il militarismo mascherato da pace. Basta con l’illusione che la guerra sia inevitabile.
Il Centro Gandhi di Ivrea, insieme a MIR Ivrea, Emergency Canavese, CGIL Ivrea, Casa delle Donne e Il sogno di Tsige, ha scritto una lettera aperta al Ministro della Difesa Guido Crosetto, con copia al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per chiedere una svolta. Una vera. Non a parole, ma nei fatti.
Lo spunto è una dichiarazione pronunciata da un Ammiraglio della Marina durante la celebrazione eucaristica del 9 febbraio scorso in piazza San Pietro, davanti a Papa Francesco, in occasione del cosiddetto “giubileo delle forze armate”: “Le forze armate italiane esistono per difendere la pace e per fare guerra alla guerra”. Frase suggestiva, certo. Ma anche ambigua. E soprattutto, secondo i firmatari, profondamente contraddittoria.
“È un’affermazione che ci ha sorpresi” – si legge – “ma com’è possibile concretizzarla?”
La risposta – scrivono – è ormai chiara a tutti: “secondo la logica della deterrenza, lo sviluppo del militarismo, cioè il riarmo e/o l’ammodernamento tecnologico dei sistemi d’arma, finanziato con un copioso aumento delle risorse destinate alle spese militari”. E il risultato? Uno spostamento silenzioso, ma drammatico, di fondi: meno per sanità, scuola, aiuti internazionali, tutela ambientale. Più per armi, basi, blindati, jet da combattimento.
Ma allora la domanda è inevitabile: “Qual è la ratio di tale scelta politica?”
Non una provocazione. Ma un’esigenza civile, democratica, pacifista. Non nel senso astratto del termine. Nel senso più radicalmente concreto. Perché la lettera non si limita a lamentare, ma propone. Suggerisce. Esige alternative.
E lo fa partendo da un’analisi spietata dell’attualità. “Stiamo assistendo inorriditi a quanto accade in Ucraina e in Palestina, in particolare nella striscia di Gaza, dove, a fronte di una efferata aggressione militare di Hamas, il governo israeliano risponde con una ritorsione di inaudita violenza provocando migliaia di vittime anche civili, tra le quali molti bambini innocenti”. È questo, si chiedono i firmatari, il modello di difesa dei diritti umani? È così che si costruisce la pace? La sicurezza?
“Noi pensiamo che non sia questa la strada giusta.”
La strada giusta, scrivono, passa per un cambio di paradigma. Un capovolgimento. Uno strappo rispetto alla logica bellica che da Hiroshima a Gaza si è fatta sistema.
“Occorre un drastico cambio di paradigma nel pensiero politico in materia di difesa.”
E allora ecco le proposte. La prima è semplice quanto rivoluzionaria: l’Italia firmi il TPNW, il trattato ONU che vieta le armi nucleari, entrato in vigore il 22 gennaio 2021 e già firmato da 98 Paesi. L’Italia no. Ancora oggi. Nonostante la sua Costituzione – art. 11 – affermi il ripudio della guerra. Nonostante la sua storia. Nonostante la sua gente.
Firmare il trattato, scrivono, è un dovere morale, ma anche giuridico e costituzionale. Perché le armi atomiche non sono strumenti di difesa. Sono strumenti di sterminio di massa.
La seconda proposta è ancora più concreta. È già stata depositata in Parlamento una proposta di legge per istituire un Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta presso la Presidenza del Consiglio. Lo scopo? Creare un Corpo Civile di Pace Italiano. Una struttura che, in caso di aggressione militare o conflitto, sia in grado di attuare forme di resistenza civile: disobbedienza, interposizione, boicottaggio.
Come in Danimarca nel 1940, ricordano, quando i cittadini seppero resistere al nazismo senza armi, ma con la forza della dignità.
Non è solo idealismo. È prassi politica. È diritto. È visione. È strategia. È, scrivono, “la via indicata da Gandhi, che già affermava: la guerra, in quanto tale, indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno scatenata, è un crimine contro l’umanità”. E se è un crimine, i suoi responsabili vanno perseguiti. Giudicati. Sanzionati. Non celebrati.
Ma c’è anche un passaggio della lettera che colpisce per la sua dolente sincerità. Quasi una confessione. Un anticipo delle critiche che potrebbero piovere addosso ai promotori. “Probabilmente Lei penserà che queste nostre considerazioni sono soltanto il frutto della visione utopistica di ‘anime belle’ del tutto prive di realismo politico o, peggio, di persone codarde indisponibili a sacrificare la propria vita per il bene della Patria.” E invece no. Non è così.
Perché non c’è nulla di più realistico – e di più coraggioso – che rifiutare la logica dell’inevitabilità della guerra. Che credere che un altro mondo sia possibile, anche quando tutto lo nega.
L’ultimo appello è rivolto alla scuola. Lì dove si forma la coscienza delle nuove generazioni. E anche lì, secondo i firmatari, qualcosa non va. “Il Suo Ministero, in collaborazione con quello dell’Istruzione, anziché incentivare il militarismo nelle scuole per ingaggiare nuove reclute, dovrebbe promuovere una concreta cultura della pace”. Dovrebbe insegnare il pacifismo giuridico-istituzionale, quello di Immanuel Kant, quello della Pace perpetua, quello che parte dal diritto per arrivare all’etica.
È una lettera che chiede molto. Ma è anche una lettera che offre. Che costruisce. Che propone.
Ora la palla passa al Ministro. Il quale potrà ignorarla, potrà archiviarla, potrà sorridere. Ma non potrà dire di non averla ricevuta.
Perché sei associazioni locali – piccole, certo, ma tenaci – hanno avuto il coraggio di alzare la testa. E scrivere nero su bianco una cosa semplice e terribile insieme: la guerra non è l’unica via. E chi la considera tale, mente. O si rassegna.
E loro, invece, no. Non si rassegnano.
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