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Cronaca

Aggressione choc nel carcere di Torino: agente pestato a calci e pugni

Nel penitenziario “Lorusso e Cutugno” la tensione è alle stelle: detenuti violenti, allarmi ignorati, dispositivi inesistenti. L’Osapp lancia l’allarme: “Il sistema è allo sfascio, serve lo stato d’emergenza”

Aggressione choc

Aggressione choc nel carcere di Torino: agente pestato a calci e pugni

Il carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino torna al centro delle cronache, e non per un provvedimento giudiziario o un progetto di recupero: questa volta, di nuovo, per un’aggressione brutale ai danni di un agente della polizia penitenziaria. È accaduto la mattina del 2 maggio, nella sesta sezione del Padiglione A. Un detenuto di origine straniera ha colpito l’agente con un pugno alla mandibola, lo ha scaraventato a terra e lo ha massacrato con calci e pugni, anche al volto. Solo il pronto intervento di un collega e di un detenuto lavorante ha impedito conseguenze peggiori.

L’agente, gravemente ferito, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Maria Vittoria. Secondo l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, si tratta del diciannovesimo caso di aggressione in quattro mesi: un bilancio inquietante che fotografa con crudezza il collasso operativo e morale del sistema carcerario italiano, e in particolare torinese.

Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, ha parlato senza mezzi termini: Siamo al punto di non ritorno. A comandare sono i detenuti, mentre lo Stato abdica al suo ruolo. È il momento di dichiarare lo stato di emergenza e di intervenire con misure straordinarie e immediate. Secondo il sindacato, il carcere di Torino sarebbe fuori controllo da tempo: circolazione incontrollata dei detenuti, promiscuità tra soggetti comuni e appartenenti ad Alta Sicurezza, e livelli di sicurezza ormai completamente erosi.

Polizia penitenziaria

La denuncia non si ferma all’aggressione di ieri. Solo due giorni fa, nella stessa struttura, un detenuto affiliato alla camorra è stato trovato in possesso di uno smartphone, nascosto negli indumenti intimi. Un episodio che, se possibile, aggrava ulteriormente il quadro e alimenta la percezione di un sistema che ha smarrito le sue funzioni primarie: contenere, riabilitare, proteggere.

Mentre nelle celle si moltiplicano episodi di violenza, possesso illecito di telefoni, droga e oggetti contundenti, gli agenti vivono in un clima di costante esposizione al rischio, spesso senza adeguati strumenti di protezione, né una catena gerarchica che riesca a intervenire tempestivamente. A ciò si aggiunge una cronica carenza di personale, turni massacranti e un crescente isolamento operativo.

Il caso di Torino non è isolato, ma è emblematico. Riflette una crisi strutturale nazionale, fatta di sovraffollamento, impunità diffusa e impotenza istituzionale. In un’epoca in cui il dibattito sulla giustizia si consuma tra decreti sicurezza e slogan elettorali, nelle sezioni detentive italiane si consuma, giorno dopo giorno, una crisi umana e democratica. E mentre il personale penitenziario conta le vittime – perché chi viene aggredito è comunque una vittima – il silenzio delle istituzioni diventa complice.

L’agente pestato nel silenzio della sezione A non è un caso isolato: è il simbolo di un allarme che suona da tempo. Ma che nessuno sembra ancora pronto ad ascoltare.

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