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Economia

Oro alle stelle, dollaro in crisi: la corsa ai beni rifugio segna l’inizio di una nuova era finanziaria?

Il metallo giallo supera quota 3.400 dollari l’oncia, mentre il biglietto verde perde terreno tra tensioni geopolitiche e politiche trumpiane. Cresce la sfiducia e le banche centrali tornano all’oro. La fine del dominio USA sui mercati è cominciata?

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Oro alle stelle, dollaro in crisi: la corsa ai beni rifugio segna l’inizio di una nuova era finanziaria?

Nel caos globale di questo aprile 2025, l’oro ha smesso di essere solo un bene rifugio: è diventato un faro. Nella giornata del 22 aprile, ha toccato il massimo storico di 3.404 dollari l’oncia nei mercati asiatici, segnando un +2,28% in sole 24 ore. Da gennaio, l’incremento è del 28%. Rispetto ad aprile 2024, il valore è esploso del 42%, un’accelerazione che riporta alla mente la bolla tech prima del crollo del Nasdaq. Ma stavolta, al posto degli algoritmi, ci sono lingotti.

Dietro questa corsa c’è il crollo di un altro simbolo: il dollaro statunitense. L’egemonia della moneta americana, da decenni punto fermo nei commerci globali, scricchiola sotto il peso delle contraddizioni interne e delle frizioni con il mondo. In meno di quattro mesi, il biglietto verde ha perso il 10% rispetto all’euro, scendendo da 1,03 a 1,1525. La tradizionale fiducia nel dollaro è stata scossa da una crisi strutturale, dove si intrecciano guerra commerciale, isolamento diplomatico e instabilità interna.

Il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump ha accelerato la discesa. Le sue politiche protezionistiche, la sfida frontale con la Cina, le invettive contro la Federal Reserve hanno spinto Pechino a rispondere: stop alla fornitura di Boeing, minacce di ritorsioni verso Paesi alleati degli USA, aumento delle riserve in yuan e oro. Il mercato, da parte sua, ha risposto ritirando progressivamente la fiducia nella solidità della moneta americana. E quando il dollaro vacilla, gli investitori si rifugiano in quello che nessun tweet o embargo può distruggere: l’oro.

Ma non sono solo i privati a comprare. Le banche centrali stanno accumulando lingotti come non succedeva da anni. Secondo dati diffusi da Amundi, solo a marzo 2025 gli afflussi in fondi legati all’oro hanno toccato quota 764 milioni di euro, portando il totale del primo trimestre a 3,8 miliardi. Il dato più alto dalla metà del 2022. Un chiaro segnale: in un sistema monetario traballante, serve un ancora, un simbolo materiale di valore che non dipenda da banche centrali sotto attacco politico o da valute esposte al rischio geopolitico.

Nel frattempo, Ucraina e Gaza restano in fiamme, l’inflazione morde l’Europa, e la minaccia di una recessione globale torna a incombere. La somma di questi fattori alimenta un circolo vizioso: sfiducia, volatilità, fuga dal dollaro, corsa all’oro. E qualcuno comincia a chiedersi se siamo di fronte all’alba di una nuova architettura monetaria internazionale. Una fase in cui la de-dollarizzazione potrebbe passare da ipotesi accademica a realtà operativa.

L’oro, da sempre il più antico dei valori rifugio, oggi non è solo un simbolo di sicurezza: è una dichiarazione politica contro l’instabilità del presente. E mentre i mercati osservano il dollaro cedere centimetro dopo centimetro, le banche, i governi e i cittadini scelgono il metallo giallo. Perché in un mondo che cambia senza bussola, a brillare è ancora ciò che affonda nel tempo: l’oro, eterno come la paura.

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