AGGIORNAMENTI
Cerca
Ombre su Torino
21 Aprile 2025 - 23:55
Se il capitolo iniziale di questa storia l’avesse scritto lo stesso giornalista di cui abbiamo letto le parole usate per descrivere Antonio Di Falco e i suoi sodali chissà come avrebbe descritto il primo personaggio che compare in questa vicenda.
Viene anche lui dalle Vallette, abita in via delle Primule 12 e si chiama Vittorio De Maio. Può darsi che, nel 1964, quel quartiere nell’estrema periferia nordovest di Torino non sia ancora abitato da “disadattati, emarginati e sradicati” e che lui non sia ancora un gran criminale, ma, in seguito, il suo nome spunterà nelle pagine di cronaca almeno due volte: nel 1968 quando tenterà di uccidere un rivale in amore con una pistolettata e nel 1972 quando sarà lui a essere colpito da un proiettile in un club di via Cigna ritrovo abituale di malviventi.
Nel 1964 ha 22 anni, fa il bigliettaio per l’ATM e non è certo un gran criminale ma è già noto alla polizia per essere un piantagrane. La conferma del suo status arriva il 18 gennaio di quell’anno.
De Maio è alla guida della sua Giulietta con un amico quando, intorno alle 13, in via Montebello si imbattono in una Giulia ferma vicino al marciapiede con di fianco un ragazzo intento a cambiare una gomma. I due si piantano in mezzo alla carreggiata e iniziano a prenderlo in giro, dicendogli anche che, per 5000 lire, gli avrebbero dato una mano.
La scena va avanti qualche minuto finché alle loro spalle giunge un’altra auto. A bordo c’è un impiegato della FIAT di 44 anni, Ugo Gino, e i figli Luigi e Luciana. Con la strada sbarrata, l’uomo arresta la marcia e, dopo qualche istante d’attesa, dà un colpo di clacson e poi scende dalla macchina.
È un uomo mite, timido, cortese e la sua intenzione è quella di chiedere ai giovani di spostarsi ma quelli non gli danno tempo di parlare. L’amico di Vittorio gli si scaglia addosso e gli dà due pugni al ventre, mentre De Maio colpisce in faccia il figlio, spaccandogli il labbro. Il giovane viene portato in ospedale ed è qui che Ugo Gino si sente male.
È pallido, si porta le mani allo stomaco e sviene su una panca ma non chiede aiuto, anzi, ha fretta di tornare a casa perché la moglie lo sta aspettando per pranzo. Quando alle 14,30, finalmente, viene chiamata la Croce Rossa è troppo tardi: Ugo Gino muore sul pavimento del suo alloggio.
Individuato tramite il numero di targa, De Maio viene rintracciato nel pomeriggio mentre si taglia i capelli. Quando la polizia lo trova non gli riferisce che quella rissa ha provocato il morto e il giovane minimizza: è stata una banale lite stradale, niente di che. Nel farlo svela anche il nome del suo complice, raccontando, per altro, che è stato proprio lui a colpire il signor Gino.
Non è quello di uno sbandato o di un ladruncolo delle Vallette. È un nobile, un conte per la precisione: si chiama Cesare Maria Gaschi di Bourget e Villarodin.
21 anni, Gaschi è il rampollo di una storica casata che, però, in quegli anni, più che rappresentare agio e ricchezza fa tornare alla mente ben altro. Il padre e lo zio, infatti, erano stati i fondatori di una squadraccia che rappresentava il nucleo più intransigente e radicale in seno al fascismo torinese. Gente che, nel corso degli anni, si trovò a passare da essere spina dorsale del movimento fino ad essere considerata una minaccia e, in alcuni casi, a subire arresti e deportazioni al confino. Individui dal cognome altisonante ma da tempo in condizioni economiche non floridissime e scelti, come si può leggere da documenti dell’epoca “per l’esempio e lo spirito di solidarietà”. Se già per i suoi familiari tali valori erano più teorici che altro, nel suo caso parliamo di un delinquente fatto e finito.
Sentito il giorno dopo l’omicidio Gino, il padre lo descrive come scioperato, dalle cattive compagnie, squilibrato a causa di un incidente di qualche tempo prima dal quale non si sarebbe completamente ripreso. Già finito in carcere per alcuni furti, in quel momento è in libertà vigilata e sospettato di essere coinvolto in un sequestro di persona.
Quando si costituisce, il 31 gennaio, viene accusato insieme a De Maio di omicidio preterintenzionale. Ugo Gino è deceduto a causa di un infarto provocato da un forte trauma psichico: per difendersi da quella aggressione, ha speso così tante energie fisiche che gli è scoppiato il cuore.
A indagini in corso, viene incriminato per aver svaligiato una pellicceria per 10 milioni di lire, di aver trafugato 90 pneumatici da un’officina e di aver agito come ricettatore dopo aver comprato da alcuni giovani della stoffa rubata. È nello stesso periodo che vengono arrestati anche i suoi fratelli Guido e Vittorio per una tentata rapina a un ricco possidente a Milano.
Dichiarati colpevoli in primo grado e in appello per l’assassinio di via Montebello, nel secondo grado di giudizio, nel 1965, Gaschi e De Maio sfoderano un vero e proprio dream team di avvocati. A difenderli troviamo, infatti, Alfredo De Marsico (già deputato e ministro di Mussolini, senatore monarchico e docente alla Sapienza) il deputato DC Domenico Larussa e, soprattutto, il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Il loro lavoro porta a un nuovo processo nel quale, nel 1967, De Maio viene assolto e Gaschi condannato a 6 anni e 10 mesi. Il conte sta in cella per quattro anni e, appena uscito nel 1971, viene sorpreso a rubare in un deposito di medicinali di Alba. Torna nelle cronache nel 1976 dopo una rapina a mano armata in una banca vicino Mantova. Quando lo prendono, un anno dopo, in casa gli trovano 4 pistole, candelotti di dinamite, un fucile a canne mozze e dei passamontagna.
Dichiarato non giudicabile per quel colpo in quanto non in grado di intendere e di volere, il suo nome rimbalza nelle cronache da allora fino a ieri. Nell’87 lo fermano con 300 grammi di eroina e, poi, si specializza come ricettatore e usuraio. Entra ed esce di prigione uno sproposito di volte e le ultime notizie su di lui lo raccontano come compratore d’oro rubato (da far fondere clandestinamente a Valenza) e lo accusano velatamente di aver profanato nel 2013 la tomba dell’ex moglie portando via tutti i gioielli addosso al cadavere.
L’ultimo arresto nel 2021, a 77 anni. Lo trovano con un compare con una pistola, 400 munizioni e un “jammer” per disturbare i gps dei portavalori. In casa vengono reperiti lampeggianti, palette, targhe taroccate, lingotti d’argento, catenine, bracciali, anelli d’oro, diamanti, penne, orologi di valore e un fornelletto elettrico usato per la fusione dei metalli preziosi.
La banalità dei modi di dire suggerisce che i soldi non fanno la felicità e che l’abito non fa il monaco. E, a volte, un nobile dal cognome chilometrico può tramutarsi in un criminale incallito molto peggio dell’ultimo ragazzino spiantato che abita alle Vallette.
Ombre su Torino è anche su Facebook, Instagram e, in versione podcast, su Spotify.
Edicola digitale
I più letti
Ultimi Video
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.