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Sicurezza stradale, servono interventi contro l’eccesso di velocità e fermate più sicure

L’incontro nell’ambito del progetto “Comuni in linea” apre il dialogo su mobilità e servizi essenziali

Sicurezza stradale

Il vicesindaco di Moncalieri Davide Guida e il vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo

Ridurre la velocità dei veicoli e migliorare la sicurezza delle fermate del trasporto pubblico: sono questi i due obiettivi principali emersi durante l’incontro tra il vicesindaco di Moncalieri Davide Guida e il vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo, avvenuto il 7 aprile nell’ambito del progetto “Comuni in linea”.

Il focus è stato la Strada Provinciale 125, nota localmente come Strada Revigliasco, una via collinare strategica che collega il centro cittadino con diverse frazioni. La preoccupazione maggiore, condivisa da residenti e amministratori, riguarda la velocità eccessiva con cui molti automobilisti percorrono il tratto, aumentando i rischi per tutti gli utenti della strada.

Come sottolineato dai tecnici della Direzione Viabilità e Trasporti della Città metropolitana, non è possibile installare dossi di rallentamento al di fuori dei centri abitati, ma è invece praticabile un intervento sulla segnaletica verticale e orizzontale, per rendere più evidenti i limiti e promuovere una maggiore prudenza alla guida.

Il vicesindaco Guida ha inoltre sollecitato un intervento mirato sulle fermate del trasporto pubblico locale, chiedendo una riqualificazione in termini di sicurezza, visibilità e comfort per i passeggeri. Un tema particolarmente sentito nelle zone collinari, dove le attese alle fermate spesso avvengono senza pensiline o spazi adeguati.

L’incontro si inserisce nel più ampio quadro di ascolto e collaborazione tra enti promosso da “Comuni in linea”, il programma che mira a rafforzare il dialogo tra Città metropolitana e amministrazioni locali, per una pianificazione condivisa delle priorità su viabilità, trasporti e servizi.

Via Artom: la strada che porta il nome di un martire, ma non la sua dignità

Le strade di Torino – Via Artom
Via Emanuele Artom è una strada lunga circa un km e mezzo che si trova a Mirafiori Sud, nell’estrema periferia sud-ovest di Torino. Incastonata tra via Onorato Vigliani e il torrente Sangone, attraversa quest’ultimo salendo sul ponte Europa con i suoi ultimi numeri civici che si trovano già a Nichelino. Siamo qui: https://goo.gl/maps/RSVPTbc3ZhU5t2bv8.
Quello di via Artom è uno di quei casi in cui la fama di un luogo (pur con evidenti legami con la realtà) supera l’oggettività della sua vita quotidiana, sfociando nel mito. Una rappresentazione fatta di racconti orali tramandati per generazioni, di leggende ma anche di oggettivo degrado, di solidarietà operaia ma anche di microcriminalità diffusa, droga ed emergenza abitativa.
Quando nel 1939 la Fiat apre il suo stabilimento di corso Agnelli, a Mirafiori abitano circa 3000 persone. Passata la guerra e scoppiato il boom economico, il quartiere, nel 1965, arriva a contare 40000 abitanti. La stragrande maggioranza proviene dal sud Italia, addirittura emigranti interni Torino su Torino, dagli scantinati del centro in cerca di una sistemazione più dignitosa in periferia. Qui, dove ancora a farla da padrone è il verde, tra il 1963 e il 1971 vengono costruiti 17mila alloggi popolari. Tra questi, nell’area dell’ex aeroporto Gino Lisa, 8 casermoni in prefabbricato da 10 piani ciascuno, 780 abitazioni. I palazzoni di via Artom.
La concentrazione di persone con un’alta incidenza di problematiche sociali in un abitato isolato fisicamente e separato socialmente dalle zone circostanti, la mancanza di servizi, scuole, strade asfaltate e autobus, crea quello che, negli anni ’70 e ’80, verrà chiamato da molti il Bronx di Torino.
Via Artom e le sue case popolari diventano il simbolo (più o meno veritiero nella realtà dei fatti) del quartiere dormitorio “difficile”. Dove si spaccia a cielo aperto e le cantine sono sequestrate ai proprietari dagli eroinomani. Dove criminali di mezza tacca vengono a riciclare i proventi dei furti. Dove ogni tanto spariscono le macchine e case malconce vengono occupate.
La situazione migliora negli anni dell’amministrazione Novelli (1975-1985) quando la realizzazione di bocciofile, campi da calcio, scuole dell’infanzia e dell’obbligo, servizi sociali e sanitari e migliori collegamenti con i trasporti pubblici sembrano cambiare il volto della via. Ma la rivoluzione vera si ha tra il 2003 e il 2005 quando due dei palazzi vengono abbattuti con la dinamite. A seguito il processo continuerà con la riqualificazione del prospiciente Parco Colonnetti (che rende la zona una delle più verdi della città) l’apertura della casa del quartiere nel 2011 e la parziale ristrutturazione degli edifici ancora in piedi. Un passo in avanti per un posto dove il reddito medio pro-capite è di 6300 euro e dove lo spaccio non è ancora debellato, come conferma la gambizzazione di un giovane nel novembre scorso.
Un posto che prende il nome dalla figura di un uomo che è quanto più lontano si possa pensare da un ambiente simile. Emanuele Artom, infatti, è uno storico di origine ebraica che nasce ad Aosta, il 23 giugno 1915. Si diploma al liceo D’Azeglio per poi laurearsi in storia antica a Milano, nel 1937. Inizia una intensa attività di collaborazione con la casa editrice Einaudi tra traduzioni di libri antichi e scrittura di saggi, recensioni e libri per le scuole. Orientato verso l’insegnamento, vedrà tramontare il proprio sogno professionale all’approvazione delle leggi razziali del 1938. Di idee antifasciste, si avvicina quindi al Partito D’Azione, al quale si iscrive nel 1943.
Sfollato nei pressi di Chieri alla fine del 1942 dopo i bombardamenti alleati su Torino, nel novembre 1943 abbraccia la lotta partigiana, diventando il delegato del Partito D’Azione presso la Brigata Garibaldi (comunista) di Barge.
Attivo nel ‘43/’44 in Val Pellice e Val Germanasca viene incaricato come organizzatore politico e dei servizi civili, in particolare della scuola, nei paesi liberati. A fianco della sua opera educativa, però, c’è anche quella militare che lo vede in prima linea nella battaglia di Perosa Argentina il 17/18 marzo 1944.
Qualche giorno dopo viene sorpreso insieme ai compagni da una colonna di SS italiane, nei pressi del Colle Giulian. Disarmati e in inferiorità numerica, i partigiani si danno alla fuga, dividendosi. Artom, che da tre giorni non dorme, mortalmente stanco, crolla e non riesce proseguire. Dichiara con disperata rassegnazione "Io non posso!".
Viene prima rinchiuso a Bobbio e poi trasferito a Luserna San Giovanni. Qui, quando i tedeschi scoprono che è ebreo iniziano a torturarlo, con alcune foto delle sevizie che vengono pubblicate, con la dicitura "Bandito ebreo catturato", sulla rivista "Der Adler", settimanale bilingue distribuito ai soldati tedeschi e italiani.
Trasferito il 31 marzo alle “Nuove” e controllato dai nazisti, viene trovato morto in cella il 7 aprile, ucciso, pestato a sangue. Di lui rimarrà solo il suo diario (redatto tra il 1940 e il 1944 e poi pubblicato postumo dai parenti) che verrà definito da Norberto Bobbio “un documento eccezionale della guerra partigiana che dà una rappresentazione immediata, senza abbellimenti retorici, senza riflessioni postume della vita di una piccola banda”.
Il corpo verrà seppellito da quattro partigiani prigionieri ma non verrà mai ritrovato. Si sa che è in una zona boschiva, sulle rive del Sangone. Proprio il torrente alla fine di via Artom, che tra l’altro, lo ricorda con un bellissimo murale all’angolo tra l’omonima strada e via Candiolo.

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