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Torino, modernità di facciata: Porta Susa deserta e Caselle isolata

Stazioni moderne e aeroporti internazionali, ma i viaggiatori restano insoddisfatti: le sfide di Torino

Torino tra modernità e disservizi: il paradosso di Porta Susa e Caselle

Torino, modernità di facciata: Porta Susa deserta e Caselle isolata

C’è una Torino scintillante, fatta di pannelli solari, architetture avveniristiche e promesse di sostenibilità. E poi c’è l’altra Torino, quella dei tramezzini confezionati e delle navette che arrancano nel traffico. È qui che si consuma un paradosso tutto sabaudo, dove il design corre veloce ma i collegamenti arrancano, e i viaggiatori si ritrovano in una città che si racconta internazionale, ma funziona come una provincia disorganizzata.

Partiamo da Porta Susa, il gioiello futuristico inaugurato nel 2013 con una spesa pubblica da 79 milioni di euro. Doveva essere la nuova porta d’accesso alla città, la stazione del futuro: sostenibile, centrale, strategica. Oggi è una galleria di vetro fredda e spoglia, dove si entra e si esce senza nemmeno la possibilità di comprare un giornale. L’unica edicola ha chiuso, i bar si contano sulle dita di una mano, l’offerta gastronomica è indegna persino di una stazione secondaria. Eppure, qui passano milioni di passeggeri ogni anno. Si parla di “attrattività turistica”, ma poi non si offre neanche un servizio di accoglienza, un'informazione per i visitatori o un punto di ristoro degno della terza città d’Italia. Una struttura pensata per il 2030 con servizi degni degli anni ‘90.

Stazione Porta Susa Torino

Poi c’è Caselle, il sedicente “aeroporto internazionale”. Già, perché a parte il nome, di “internazionale” resta ben poco. Nessun collegamento ferroviario diretto con Torino, nessun treno veloce, nessuna integrazione reale con il resto della rete. Solo un trenino locale lento e inaffidabile, o navette che si perdono tra le code dell’ora di punta. Si promette una soluzione “entro tre mesi”, ma nel frattempo chi vola da Caselle deve organizzarsi come se partisse da un paesino di montagna, e non da una città metropolitana.

E le istituzioni? Bloccate, come spesso accade, nel rimpallo delle competenze: RFI da una parte, SAGAT dall’altra, Comune e Regione che osservano, ma agiscono poco. L’unica speranza sembra riposta nei privati, come Intesa Sanpaolo o Newcleo, che con i loro grattacieli potrebbero portare un po’ di linfa — sempre che i soldi facciano anche girare le idee, e non solo il cemento.

La verità è che Torino ha tutte le carte per essere un modello europeo, ma continua a giocare al ribasso. Le infrastrutture ci sono, ma restano incompiute nella loro funzione. La visione c’è, ma manca la volontà — o forse il coraggio — di metterla davvero in pratica. Perché costruire è facile, gestire è un’altra storia. E finché a Porta Susa si berrà il caffè in piedi con una brioche incartata, e da Caselle si viaggerà solo se si ha un’auto o tanta pazienza, Torino resterà una città moderna solo nel rendering dei progetti. Sul campo, è tutta un'altra storia.

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