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Salvini annuncia, Torino aspetta. La metro non parte, ma le promesse corrono

Il ministro dei Trasporti promette milioni per Cascine Vica e la Linea 2 al Politecnico: tutto bello, ma tutto dopo il 2032

Salvini annuncia, Torino aspetta. La metro non parte, ma le promesse corrono

Torino ha avuto il suo momento di gloria. Di nuovo. È bastato un microfono, una conferenza in Città Metropolitana, e il solito Salvini in camicia – stavolta senza ruspa, ma col sorriso da testimonial di infrastrutture mai finite – per trasformare un martedì qualsiasi nella festa della grande promessa.

«Presto verranno stanziati i 24,5 milioni necessari per il prolungamento fino a Cascine Vica della Linea 1 della metropolitana di Torino», ha annunciato il vicepremier e ministro dei Trasporti, come se stesse svelando l’ultimo segreto di Fatima. Lo ha detto davanti a una platea di amministratori compiaciuti, con a fianco Stefano Lo Russo, Alberto Cirio e Bernardino Chiaia, che a furia di presentare progetti della metro ha ormai la stessa espressività di chi attende Godot.

Sì, perché i 24,5 milioni “presto stanziati” – in burocratese vuol dire: li mettiamo su un foglio, poi ne riparliamo al Cipess – non bastano nemmeno a comprarsi un paio di convogli. Ma a Torino ci siamo abituati: si vive di annunci, si sopravvive a suon di promesse.

Salvini, intanto, prende fiato e rilancia: «Da qui al 2028 conto di trovare i 450 milioni per portare la Linea 2 fino al Politecnico». Non male per un ministro che solo pochi giorni fa, al Salone dell’Auto e poi all’Assemblea Anci, piagnucolava: «Tutti mi chiedono soldi, dovremo fare delle scelte». E la scelta, evidentemente, è caduta su Torino. Ma non fateci troppo l’abitudine: la prossima settimana potrebbe toccare a Catania, e quei 450 milioni potrebbero sparire come i bonus edilizi.

Ma a Torino siamo bravi a fare buon viso a cattivo gioco. Lo Russo, da manuale, parla di concordia istituzionale, come se la metro fosse una messa solenne: «Se litigassimo, faremmo un torto alla città». Tradotto: non fateci troppe domande, abbiate fede. E Cirio, non pago, ci rassicura: «Stiamo ridando dignità alla politica». Lo dice lui, mentre i treni reali viaggiano ancora con orari da era sabauda.

Nel frattempo, il Rettore del Politecnico, Stefano Corgnati, regala la frase da prima pagina della newsletter accademica: «La prosecuzione della metro 2 è un obiettivo di tutta la comunità». Ci mancherebbe altro. Peccato che oggi la comunità del Politecnico continui a dipendere da tram sgangherati, autobus che saltano le corse e ciclabili a metà. Ma che importa? L’importante è l’obiettivo. Il futuro. Il 2032. O 2033. Forse.

Già, 2032: è la data che sogna InfraTo, l’azienda incaricata di rendere tutto questo reale. Il presidente Chiaia ha illustrato in pompa magna i requisiti dei treni: lunghi 60 metri, larghi 2,7, trasporto fino a 400 persone, intelligenti, parlanti, modulanti, profumanti. Talmente futuristici che pare debbano decollare, più che viaggiare sottoterra. Avranno persino un sistema acustico che cambia in base alla folla. Ma finché non cambierà la folla in attesa sulla banchina, sarà difficile emozionarsi.

La giornata non si era ancora conclusa e mentre a Torino son rimasti tutti attaccati alle slide e ai rendering, Salvini è volato in Savoia, in Francia, per benedire la fresa Viviana, incaricata di scavare nove chilometri della galleria nord del tunnel di base del Moncenisio, nel cantiere della Torino-Lione. Una galleria, per capirci, che dovrebbe servire a far passare i treni dell’alta velocità tra Italia e Francia. Costo totale dell’opera: 2,92 miliardi. Finanziati, per ora, solo per 827 milioni. Ma c’è ottimismo. Tanta fiducia. Si scava sotto la montagna con l’entusiasmo di un reality show europeo.

Viviana, la fresa, è stata chiamata così in onore della moglie dell’architetto Mario Virano, il manager della Telt scomparso nel 2023. Un tocco sentimentale, certo, ma anche utile a dare un volto umano a un progetto che – almeno in Italia – sembra più spesso impantanato nella burocrazia che nella terra.

E allora Calogero Mauceri, presidente dell’Osservatorio, ci racconta la timeline: entro il 2025 si completa l’iter autorizzativo, entro il 2026 si assegnano i lavori, e nel 2027 si parte con la nuova tratta nazionale da Orbassano ad Avigliana, con tanto di gallerie, raccordi e promesse green. Chissà se tra otto anni riusciremo a salire su un treno che parte davvero. Senza annunci. Senza inaugurazioni. Senza selfie in cantiere.

Per non farsi mancare nulla, Salvini ha persino aperto all’ipotesi di una fermata AV a Bardonecchia. Peccato che, oggi, per motivi di controlli doganali, lì il TGV non si ferma nemmeno per sbaglio. Ma anche qui, il ministro ha la soluzione pronta: «Ne parlerò con il collega francese. Bisogna snellire i controlli». Un po’ come dire: non so come si fa, ma prometto che ci penserò.

Insomma, tra Torino e Parigi va in scena la diplomazia del cantiere, quella fatta di strette di mano, visite simboliche e dichiarazioni roboanti. E nel frattempo, nella vita vera, i torinesi continuano a fare il salto della metro. A sperare che il sogno di Cascine Vica si realizzi. A incrociare le dita per quei treni del futuro che parlano tra loro ma, ancora oggi, non parlano con noi.

Forse arriveranno. Forse no. Nel dubbio, continuiamo a scavare. Nei progetti, nei fondi, nelle frasi a effetto. Come sempre, in questa Italia che corre verso il futuro... con le rotaie ferme.

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