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Ivrea, orti urbani al veleno: un milione di euro per topi, rovi e amianto

Doveva essere un progetto di rigenerazione green finanziato dal PNRR. È diventato una discarica a cielo aperto con lastre di Eternit, serpenti e promesse sepolte sotto le erbacce. I residenti di San Grato chiedono bonifica, presidio e risposte. Il Comune? Prende tempo

Ivrea, orti urbani al veleno: un milione di euro per topi, rovi e amianto

Mariangela Gamberini del Comitato di San Grato

Un milione e duecentomila euro di fondi pubblici, una pioggia di proclami trionfali, la rivoluzione verde a San Grato… e il risultato? Un campo di sterpaglie e un’emozionante caccia all’amianto. Ecco il nuovo concetto di orti urbani 2.0: non più pomodori e insalate, ma erba infestante, topi in festa, qualche serpente curioso, le capre e le galline di un paio di privati cittadini che qui continuano a lavorare indisturbati, tutt’intorno una discarica a cielo aperto. Un’oasi di sostenibilità, sì, ma solo per la fauna selvatica.

Il progetto, finanziato dal PNRR, era stato annunciato con entusiasmo istituzionale. «Sarà un esempio di rigenerazione urbana!», si diceva. E in effetti lo è stato: ha rigenerato il degrado. Dovevano sorgere spazi condivisi, socialità, coltivazioni, un piccolo paradiso green. Oggi è solo un terreno abbandonato, disseminato di rifiuti e illusioni sepolte sotto le erbacce.

Il colpo di scena da thriller ambientale?

orti urbani

Nessuno, nella foga di annunciare l’ennesimo sogno pubblico, aveva pensato di controllare il terreno prima di iniziare i lavori. Peccato, perché appena infilata la pala nel suolo, è emersa la sorpresa tossica: lastre di Eternit, scarti edilizi, una discarica sotterranea d’amianto, occultata chissà quando e da chi.

Eppure, a San Grato lo sapevano tutti. Lo sapevano i residenti, lo sapevano gli ex amministratori, lo sapeva chiunque abbia vissuto o amministrato Ivrea negli ultimi decenni. Tutti, tranne chi governa oggi.

Morale della favola? Il cantiere è fermo dalla primavera scorsa. Nessuno sa quando – o se – ripartirà. Intanto i residenti, un tempo coinvolti con entusiasmo nella nascita del Comitato di quartiere, ora si sentono traditi e abbandonati. Un comitato nato proprio sotto l’impulso dell’attuale amministrazione, che aveva promesso dialogo, partecipazione, perfino una sede. 

«La stiamo ancora aspettando - dice Mariangela Gamberini - inutile stimolare la partecipazione se poi non si ascolta nessuno. All’accorrenza ci riuniamo nell’atrio».

L’area, una discarica a cielo aperto, è circondata da una rete di plastica sfondata sistematicamente. Ovunque, sparpagliati un po’ qua e un po’ là una serie di cumuli di macerie, amianto e rifiuti. 

«Non possiamo continuare a vivere così. L’aria e la terra non badano alle competenze burocratiche. Qui si respira l’aria di un disastro», denunciano i cittadini.

L’assessore ai Lavori Pubblici, Francesco Comotto, nei giorni scorsi ha provato a gettare acqua sul fuoco. Della serie: Stiamo lavorando. Abbiamo affidato a un professionista il piano di bonifica. A breve inizieranno le campionature. 

Parole, promesse, speranze. 

Come quelle dello scorso giugno, quando si disse che si cercava “un’azienda per la bonifica a buon prezzo”. 

Totò avrebbe commentato: «Ma la Titina non la si è ancora trovata».

Nel frattempo, con una variazione di bilancio, il Comune ha trovato 60 mila euro: 20 mila per analizzare il terreno (meglio tardi che mai), e 40 mila per “progettare” la bonifica. Ma quanto costerà davvero ripulire l’area? Se fosse solo in parte contaminata, si stimano 250 mila euro. E se il veleno tossico fosse più in profondità – e i sospetti ci sono – si rischia di dover spendere milioni, trasformando l’orto urbano in un buco nero da incubo.

A peggiorare la situazione, la spada di Damocle dei fondi PNRR: devono essere spesi entro il 2026, altrimenti addio soldi. E l’unica speranza, al momento, è che il Ministero autorizzi l’utilizzo dei 260 mila euro di ribasso d’asta per la bonifica. La risposta? Non pervenuta.

Intanto, gli abitanti di San Grato non possono fare altro che guardare, indignati, quel terreno desolato che doveva diventare un giardino urbano e che invece oggi somiglia alla scenografia di un film post-apocalittico. «Almeno presidiate la zona!», implorano. Nulla. Le istituzioni tacciono, le promesse evaporano, le recinzioni crollano, l’amianto resta.

Insomma, l’unica cosa davvero “rigenerata” è il senso di sfiducia nei confronti di chi amministra. Ma tranquilli, «il Comune ci farà sapere». Un giorno. Forse.

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