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22 Marzo 2025 - 16:15
Discariche: dal Canavese a Chivasso, l'eterno disastro di rifiuti in tutta Italia
Alcuni giorni orsono, in uno dei luoghi più belli e “incontaminati” (che si credevano incontaminati…) dell’alto Mugello, nel territorio del Comune di Palazzolo, una frana ha fatto scoprire una discarica dimenticata.
La frana ha infatti trascinato a valle rifiuti di vario tipo. In parte sono anche finiti nel torrente Rovigo, le cui acque limpide ora non paiono più tanto incontaminate. Sono piene di oggetti di plastica, che vengono trascinati a valle, tanto da costringere le autorità competenti a creare velocemente degli sbarramenti, forse delle reti per intercettarli. Senza contare che nel corso del tempo – questo è il timore – anche il percolato potrebbe essere finito nel torrente.
Le cronache dei giornali locali precisano che quella non è nemmeno una discarica “abusiva”.
Mezzo secolo fa, infatti, una emergenza ambientale portò il Comune di Firenze a firmare un accordo con quello di Palazzolo: nel territorio di quest’ultimo sarebbero stati stoccati i rifiuti fiorentini, in cambio di compensazioni economiche e di mezzi, compreso un autocarro compattatore.
La discarica del Mugello, scoperta a causa di un disastro ambientale, ci ricorda qualcosa? A noi di Montanaro e di Chivasso? Sì, ci ricorda la storia della cava Borra, Comune di Montanaro, località Prato Moriano, nei boschi fra il paese e l’Orco. Nel novembre 1994 il territorio di Montanaro viene travolto dalla grande alluvione, quella durante la quale a Chivasso le acque del Po abbatterono il ponte sul fiume. Ebbene, nella località Prato Moriano l’acqua riempie un terreno e – sorpresa sorpresa – fa affiorare strani bidoni e rifiuti. Le autorità dispongono il sequestro del terreno. Le analisi condotte da un laboratorio di analisi rilevano tracce di solventi clorurati e idrocarburi nei campioni prelevati nelle immediate vicinanze della cava. Il rapporto del laboratorio conclude: “si può supporre che la situazione all’interno, nella zona sequestrata, sia più allarmante”.
Il luogo della Cava Borra a Montanaro
La scoperta dei rifiuti nascosti è dunque del novembre 1994. Ma la storia della cava Borra è cominciata ben prima. Un giornalista di “Narcomafie”, una pubblicazione vicina a Libera di Don Ciotti, raccontò che il magistrato torinese Giancarlo Caselli aveva negli anni precedenti condotto un’indagine su un traffico illecito di rifiuti dal Sud al Nord, o viceversa, e le indagini conducevano – forse – già allora a Montanaro.
I cittadini e gli ambientalisti di Montanaro e del Chivassese – Legambiente, il Comitato di Difesa Ambientale, Restiamo Sani – si mobilitarono. I Restiamo Sani fecero un lavoro di fino e pubblicarono una accurata cronologia della vicenda, tuttora scaricabile dalla rete.
Da questa cronologia si ricava che la storia comincia, se non prima, almeno nel 1979, quando la ditta Borra chiede l’autorizzazione a realizzare una cava a Prato Moriano. Una zona vicina all’Orco e quindi ricca di sabbia e ghiaia. All’autorizzazione chiesta da Borra, fa seguito per anni una specie di montagne russe: la Regione prima autorizza, poi ritira l’autorizzazione, poi riautorizza, ecc. ecc. (ora le autorizzazioni spettano a Città Metropolitana). Il Comune invece in genere fa la sua parte: recependo le disposizioni della Regione e della Magistratura, di volta in volta impone alla ditta la cessazione delle attività di escavazione, l’esecuzione delle opere di messa in sicurezza, il pagamento della multa. Ogni volta la ditta fa ricorso, incarica un rinomato studio di geologi torinese di formulare le obiezioni a sostegno del ricorso.
Nella cronologia dei Restiamo Sani leggiamo i nomi dei sindaci che si batterono, con le loro ordinanze, per far rispettare alla ditta le imposizioni delle autorità sovracomunali.
Nel 1984 il sindaco Ettore Comoglio emette una ordinanza che diffida la ditta Borra dal proseguire i lavori e impone di effettuare le opere di ripristino ambientale dell’area. La ditta non esegue i lavori e si rivolge allo studio torinese per farsi le proprie ragioni, e chiede alla Regione di consentire il proseguimento degli scavi.
Nel 1987 la Regione accoglie le argomentazioni dello studio torinese ed esprime parere favorevole, costringendo il Comune a piegarsi.
Nel 1988 la Polizia Mineraria della Regione effettua un sopralluogo rilevando la non ottemperanza del Borra alle prescrizioni: il sindaco Marco Giacometto ordina al Borra di pagare lire 2.000.000 per violazione delle prescrizioni. Borra non paga ed il sindaco trasmette la pratica alla Pretura di Chivasso per la riscossione coatta. Il 22/12/1988 Borra effettua il pagamento.
Nel 1991 tocca al sindaco Maridina Apa: con una ordinanza dichiara la decadenza dell’autorizzazione alla coltivazione di cava ed impone le opere di recupero ambientale prescritte.
L’anno dopo Maridina Apa ordina nuovamente al Borra di cessare qualsiasi attività e l’esecuzione delle opere di ripristino. Poiché le opere non vengono realizzate, il sindaco intima al Borra di pagare la somma di lire 2.000.000 e di effettuare il ripristino ambientale. Non sappiamo se la ditta ha pagato quella somma. Ma sappiamo che non ha effettuato integralmente il ripristino ambientale.
Nel 1994, tenacemente, la ditta richiede di nuovo l’autorizzazione a proseguire i lavori di escavazione e una proroga per i lavori di ripristino ambientale.
Nel 1993, intanto, il sindaco Apa aveva ordinato nuovamente alla ditta, che ora si chiamava EM.CA., di eseguire i lavori di ripristino ambientale e di pagare una multa di lire 2.000.000: l’ordinanza viene completamente disattesa.
Nel gennaio 1994 la Regione Piemonte esprime parere negativo alla richiesta di coltivazione cava da parte della ditta EM.CA. e il mese dopo il Comune di Montanaro recepisce il parere negativo della Regione ed esprime a sua volta parere negativo.
Passa un altro mese e viene presentata la nuova relazione tecnico–economica redatta dal solito studio torinese per riottenere l’autorizzazione. Segue un’altra capriola della Regione, che contraddicendo la sua precedente decisione, esprime parere favorevole alla coltivazione di cava.
E così arriviamo all’alluvione del novembre 1994 e alla scoperta della discarica abusiva.
Pochi giorni dopo la scoperta, un laboratorio di analisi riscontra massicce tracce di solventi clorurati e idrocarburi nei campioni prelevati nelle immediate vicinanze della cosiddetta Cava Borra, al di fuori dalla zona posta sotto sequestro. Il rapporto conclude: “… si può supporre che la situazione all’interno, nella zona sequestrata, sia più allarmante”.
Nel dicembre 1994 la Regione invita il Comune di Montanaro a sospendere ogni pratica autorizzativa.
In dicembre 1994 il Laboratorio di Sanità Pubblica di Grugliasco consegna una dettagliata relazione in cui conferma la presenza di rifiuti classificabili in tossico nocivi e la presenza di sostanze pericolose nell’area della cava.
Nel febbraio 1995, l’Azienda Regionale USSL 7 invia a Pier Car Borra e per conoscenza alla Provincia e al sindaco di Montanaro Carlo Saroglia e all’assessore provinciale competente, una comunicazione ad oggetto: “bonifica discarica abusiva località Pratomoriano Montanaro – procedimento penale 37711/94 R.G. Notizie di reato” in cui impone la bonifica della cava. Ora tocca a Saroglia sottoporsi alla fatica di Sisifo già sperimentata dai sindaci precedenti, da Comoglio in poi.
Come sappiamo, la storia non è ancora finita: il Comune di Montanaro è in attesa dei risultati di nuove indagini sui prelievi.
A sua volta, la cava Borra ricorda qualcosa anche ai chivassesi? Ci ricorda un particolare della complessa questione della grande discarica che si trova nelle campagne di Chivasso Nord.
Nel 2014 la società delle discariche presentò in Città Metropolitana un progetto di ingrandimento della discarica medesima – che era già stata ampliata pochi anni prima – e di costruzione di uno stabilimento per il recupero e il riciclo dei rifiuti. Dopo un lungo procedimento, durato anni, Città Metropolitana respinse definitivamente il progetto.
Nel corso del procedimento emerse una curiosa questione. Lungo il lato Ovest della discarica scorre la Roggia Campagna, che insieme alla San Marco, è uno dei due principali corsi d’acqua che irrigano la campagna chivassese. Questa roggia Campagna è inclusa nell’elenco provinciale delle acque pubbliche: sono i corsi d’acqua che godono di qualche tutela in più rispetto a quelli che non sono compresi nell’elenco. Ciò significa che la società delle discariche, e gli organi di controllo come ARPA e CMTO, devono rispettare e far rispettare queste norme più stringenti.
Diciamo subito che, molto probabilmente, ci troviamo di fronte a rischi assai minori rispetto ai casi del Mugello e di cava Borra di Montanaro. La realizzazione di opere di protezione (argini, scolmatori), e il continuo monitoraggio sia della roggia sia delle discariche, dovrebbero scongiurare i pericoli. Non solo quello di contaminazione delle acque della roggia. Ma anche il rischio che, a seguito di una esondazione, le acque della roggia si riversino verso le discariche, le erodano con la loro potenza, e trascinino a valle i rifiuti lì stoccati. Può accadere: i mutamenti climatici, gli eventi estremi, le bombe d’acqua, che hanno aumentato in pochi anni i pericoli, rendono più difficile che in passato prevedere l’entità e la potenza delle esondazioni e creare opere di messa in sicurezza sufficienti.
Tuttavia il Comune tentò il colpo. Le raffinate menti del “porto nelle nebbie” (l’Ufficio tecnico comunale di quegli anni) sostennero che la roggia Campagna non passava affatto accanto alle discariche. L’UTC giocò sul fatto che a Chivasso la roggia Campagna viene anche chiamata roggia di Chivasso. E secondo l’Ufficio tecnico il corso d’acqua lungo le discariche era la roggia di Chivasso, che non comparendo nel registro delle acque provinciali gode di minore tutele.
Era un bell’espediente, ben congegnato: ma confutabile, e alla fine Regione e Città Metropolitana accolsero le obiezioni di cittadini e ambientalisti e lo smontarono. La teoria delle due rogge proposta dall’UTC soffriva infatti di due punti deboli. Primo, la roggia Campagna e la roggia di Chivasso sono una sola e unica roggia, che nel Chivassese è chiamata con due nomi. Essendo una unica roggia, è quella la roggia che passa lungo le discariche. Secondo: se la roggia lungo la discarica non è la roggia Campagna, dov’è finita la roggia Campagna? L’ufficio tecnico si inventò una cosa fantascientifica: a monte delle discariche la roggia era ancora unica, ma prima di arrivare alle discariche si biforcava, un ramo scendeva lungo le discariche, mentre la presunta roggia Campagna intraprendeva un lungo viaggio verso Est, verso il territorio di Verolengo, e poi… poi scompariva. Forse veniva inghiottita dalla terra? La usavano tutta quanta i casinè per bollire la pastasciutta?
Ricordo che in un incontro in Comune, il militante di Legambiente Massimo Rubin – il “carabiniere del popolo”, in quiescenza – chiedeva insistentemente ai tecnici comunali di indicargli su una pianta di Chivasso il percorso della fantasiosa roggia Campagna: le dita dei tecnici giravano di qua e di là sulla carta per trovare il presunto tracciato inventato da loro, forse pensando che Rubin fosse uno sprovveduto. Non lo era.
Si dirà che questo è un dettaglio. Ribadisco: sono portato a pensare che non vi siano pericoli. Ma la domanda resta: perché l’Ufficio tecnico si mise così d’impegno per dimostrare una tesi insostenibile? Per ridurre le tutele che la roggia Campagna, quella vera che corre lungo le discariche, fruiva in quanto elencata nelle acque provinciali? Oltretutto era una missione impossibile. I tecnici comunali erano astuti, ma ci voleva altro per intortare Massimo Rubin.
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