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Vespia: un primo passo verso la tutela del territorio?

Cava e discarica a Castellamonte: la battaglia continua

Vespia: un primo passo verso la tutela del territorio?

Il primo round è andato bene: la Conferenza dei Servizi sulla cava di Vespia, tenutasi giovedì 13 marzo,  ha dato ragione al Comune di Castellamonte. Tutti gli enti partecipanti hanno accolto integralmente la richiesta di sottoporre il progetto alla Valutazione Ambientale  Strategica ed a quella di Impatto Ambientale.

Non vuol dire che la cava non si farà ma che, prima di concedere qualsiasi autorizzazione, la Città Metropolitana dovrà tener conto di quanto gli esperti avranno messo nero su bianco. E’ probabile che  gli oppositori del progetto non facciano i salti di gioia: provati da decenni di discarica e spaventati da quel che accadrebbe ai loro  territori ed alle loro esistenze se accanto a questa dovesse essere aperta una cava, vorrebbero un No netto e definitivo. Come non condividere la loro posizione?  Purtroppo però i sì e i no ad un’attività produttiva gli enti superiori li esprimono in base a dati e valutazioni concrete, non – come sarebbe invece giusto in linea teorica – mettendo davanti a tutto la salute ed il benessere delle popolazioni e la loro volontà. E’ quindi importante trovare dei solidi punti d’appoggio per confutare le tesi di chi la cava la chiede.

Accettando la richiesta del Comune di procedere con valutazioni approfondite, tutti i soggetti partecipanti alla Conferenza dei Servizi hanno riconosciuto la serietà delle obiezioni avanzate. Evidentemente anche gli enti superiori cominciano a rendersi conto di quanto pesanti siano le conseguenze, a breve e lungo termine, delle attività estrattive  e lo dimostra l’impostazione della nuova legge regionale sulle cave approvata in dicembre dalla giunta (manca ancora il passaggio in sede di consiglio).

Il problema delle cave è molto serio ed è uno di quelli in cui si evidenziano con maggior peso le contraddizioni del mondo contemporaneo: più si costruisce e più si deve estrarre ma quanto più si estrae tanto più si favorisce l’erosione, si devasta il paesaggio, si compromette la salute dei cittadini nel medio e lungo termine e si distrugge il loro benessere nell’immediato.

Va anche detto che, in tema di escavazioni, è facile essere indotti in confusione dalle apparenze. Cosa pensa, ad esempio, la maggior parte delle persone, quando osserva i letti dei torrenti colmi di pietrame? Che dovrebbero essere ripuliti e che non lo si fa per colpa degli ambientalisti (i quali non contano mai nulla ma che, chissà perché, proprio in questo specifico settore hanno potere di veto). In realtà – a dirlo erano state fonti competenti al tempo dell’alluvione del 2000 – i cavatori non amano intervenire in mezzo ai corsi d’acqua perché è più complicato, più costoso ed il materiale si presenta di qualità inferiore. Molto meglio cavare dalle sponde…. Cosa questo significhi in termini di solidità degli argini è abbastanza facile capirlo.

Il caso di Vespia è ancora più complicato  e più drammatico rispetto ad altre situazioni. Lì la  scelta del sito è dovuta alla vicinanza della discarica così che – la Agrigarden lo nega ma tutti lo sospettano – una volta chiusa la discarica attuale si potrebbe utilizzare come tale il buco creatosi nella montagna.  Approfondire i temi dell’impatto ambientale era davvero il minimo. Ora intanto passerà un po’ di tempo e poi si dovranno esaminare le risultanze degli approfondimenti.

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