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Carceri, il modello Nordio sotto accusa: "Luoghi di abbrutimento, non di rieducazione"

Gli esperti smontano le proposte del ministro sulla riforma dell'edilizia penitenziaria

Carceri, il modello Nordio

Carceri, il modello Nordio sotto accusa: "Luoghi di abbrutimento, non di rieducazione"

"Inquietanti". Così l'associazione radicale Nessuno tocchi Caino ha definito le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio sulle carceri italiane. Al convegno di Torino, organizzato nell’ambito di un tour nelle strutture piemontesi, il giudizio è stato netto: "Un carcere abbrutente non può che abbrutire. Non è un luogo di rieducazione, ma solo di contenimento".

A ribadire il concetto è stato Cesare Burdese, architetto esperto di edilizia penitenziaria, che ha demolito l'idea di utilizzare caserme come nuove strutture detentive e ha bocciato i nuovi padiglioni, che secondo lui non faranno altro che "riempire edifici di umanità dolente, senza prospettive di recupero". Le carceri italiane restano prigioni di afflizione, senza evoluzione.

Dopo le visite agli istituti di Cuneo, Saluzzo e Fossano, Burdese ha sottolineato le differenze tra le strutture: se Fossano, grazie alla sua origine conventuale, mostra qualche aspetto più "umanizzato", Cuneo e Saluzzo restano eredità di un sistema costruito negli anni ‘70 e ‘80, rimasto fermo nel tempo. "Abbiamo sperato in un’evoluzione, ma la realtà è ben diversa". L’appuntamento torinese ha ricordato anche Maria Teresa Di Lascia, fondatrice di Nessuno Tocchi Caino, e il suo impegno nella battaglia per i diritti dei detenuti, portata avanti nel solco tracciato da Marco Pannella.

Le carceri dovrebbero essere strumenti di rieducazione e reinserimento sociale, ma nella realtà italiana restano spesso luoghi di abbrutimento e marginalizzazione. Chi entra in prigione, nella maggior parte dei casi, proviene già da situazioni di disagio, e invece di trovare opportunità per ricostruire la propria vita, si ritrova in un ambiente disumanizzante, sovraffollato e privo di reali percorsi di recupero.

Il risultato? Ex detenuti che escono più isolati di prima, stigmatizzati, senza strumenti per reintegrarsi nella società e, in molti casi, spinti di nuovo sulla strada della criminalità. Il carcere, così com’è oggi, non rieduca, non offre alternative, non spezza il ciclo della recidiva, ma alimenta un sistema punitivo che lascia indietro sia i detenuti che gli operatori penitenziari, schiacciati da un sistema inadeguato. Se non si cambia prospettiva, smettendo di considerare la detenzione solo come afflizione e privazione della libertà, il carcere continuerà a essere una fabbrica di reietti, anziché un ponte verso il reinserimento sociale.

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