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Ombre su Torino
09 Febbraio 2025 - 22:42
La sensazione, senza dubbio, non deve essere delle migliori.
È il pomeriggio del 30 agosto 1984 e per gli operanti del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di via Valfrè è una giornata come un’altra. Certo, a Torino, in quegli anni, è raro annoiarsi se si fa un certo mestiere ma non è usuale venire presi di forza e catapultati in un film dell’orrore.
Un appuntato ha appena aperto una busta al cui interno ha trovato una lettera scritta a macchina, con, sul retro, una piccola mappa disegnata a mano. Il testo, di tre righe, recita quanto segue: “Con la presente vi informo che in una strada laterale sulla destra dalla provinciale S.Gillio-La Cassa, prima del bivio per Givoletto, in una valigia marrone c’è un cadavere. Dove è stata depositata la valigia c’è un cartello con un divieto di scarico rifiuti”.
La questione potrebbe non essere presa sul serio, di mitomani e burloni con un macabro senso dell’umorismo è pieno, ma poi a qualcuno, al centralino, quelle parole fanno scendere un brivido freddo sulla schiena. Circa un mese prima, infatti, una voce anonima aveva raccontato le stesse cose ma senza dare indicazioni precise. I militi erano andati sul posto ma l’area è gigantesca, centinaia di ettari di boschi confinanti con La Mandria: come cercare un ago in un pagliaio, si erano arresi dopo qualche ora. Stavolta va diversamente: la valigia c’è sul serio.
È in pelle marrone chiaro, con dei grossi manici, di buona fattura ma rovinata naturalmente dagli agenti atmosferici che hanno colpito la zona, si ricostruirà, nel mese e mezzo precedente alla scoperta. Lo spettacolo, all’interno, è semplicemente raccapricciante. Più che i resti di un corpo il professor Balma Bollone, il medico legale per eccellenza del periodo, si trova davanti a una poltiglia informe riconducibile a un cadavere umano solo dalle ossa: il cranio, il bacino, un femore. Inizialmente si pensa che quell’una volta individuo fosse stato fatto a pezzi e chiuso nel borsone ma, dopo attenta analisi, si scopre che vi era stato messo dentro piegato su sé stesso. Viene stabilito che sono le spoglie di una donna sulla trentina, alta circa un metro e sessanta, dai capelli scuri lunghi circa 30 cm, senza otturazioni o protesi dentarie.
Alla ricerca dell’identità della vittima, vengono scandagliati moltissimi spunti investigativi sia locali che a livello nazionale. Nel voluminosissimo dossier delle donne scomparse nell’Italia nord-occidentale, infatti, circa sessanta risultano sparite in Piemonte ma, incredibilmente, tra le piste seguite c’è anche quella che ricondurrebbe a una ragazza svanita nel nulla a Roma l’anno prima: Emanuela Orlandi.
“Non possiamo escluderlo” spiegano gli investigatori “ma al momento è un’ipotesi come tante”.
Un’ipotesi come tante.
L’unico indizio rilevante rimasto tra quelle carni straziate è un fermaglio per capelli cromato color oro, lungo quanto una sigaretta e con scritto sopra “Sun Violet” in maiuscolo. Carabinieri e polizia, nonostante una prima informativa che segnalava che non fosse in vendita a Torino, iniziano a battere a tappeto tutti i tabaccai, le bigiotterie e gli empori dove si sarebbe potuto reperire. Il 3 settembre arrivano nel negozio giusto, una merceria in via Buniva. La commessa che ci lavora guarda la graffetta e la riconosce subito ma, soprattutto, racconta agli inquirenti che una ragazza bionda, circa tre mesi prima, ne aveva comprate 20 identiche che avrebbe distribuito tra le sue colleghe infermiere. Individuata l’acquirente, appare immediatamente evidente che non lavori in ospedale ma per strada e che quei fermacapelli erano stati donati ad altre prostitute come lei. Tra queste ce n’è una che lavora in corso Cairoli è che sparita il 15 di luglio. 21 anni, minuta, circa 40 kg di peso, è una tossicodipendente che vende il suo corpo per potersi pagare la dose quotidiana d’eroina. Si chiama Giacinta Zamparelli, conosciuta anche come Elena: è lei la morta nella valigia.
Giacinta nasce a Napoli nel 1963 ma vive da tantissimi anni a Torino dove la madre l’ha portata quando era ancora bambina. È la più irrequieta di cinque fratelli e già quando è alle medie inizia a dare segni di inquietudine preoccupanti. Non è in buoni rapporti con i genitori e la via d’uscita che sceglie è sempre la stessa: la fuga.
Scappa di casa la prima volta a 15 anni e da quella volta sarà un continuo. La trovano a Roma, a Napoli, al mare, in montagna. Sparisce per periodi molto lunghi finché o la riacciuffano o spontaneamente torna indietro. È in questo periodo, dopo aver compiuto 16 anni, che incontra l’eroina. Vedere le sue foto prima e dopo la sua iniziazione alle siringhe è impressionante. Giacinta è molto bella, mora, magra, con un sorriso splendido che però sembra spegnersi un giorno dopo l’altro per fare posto ai segni, anche fisici, di una sostanza che non lascia scampo. Il passo verso la prostituzione, diventando Elena, è brevissimo e doloroso.
Va ad abitare con due amiche e colleghe in corso Brunelleschi e si fidanza con Marco, anch’egli tossicodipendente, attirando spesso le attenzioni delle forze dell’ordine che, per esempio, nel giugno 1984, la trovano in un appartamento di via Santa Chiara 38 intenta a confezionare dosi d’eroina in compagnia di due spacciatori (a cui sequestrano un fucile e due bombe a mano) e altre tre ragazze. Incrociando le testimonianze delle altre lucciole, del fidanzato e della madre, si riescono a ricostruire gli ultimi giorni in vita della Zamparelli. Marco, che ne fornisce un ricordo molto dolce e commuovente, racconta che, il 12 luglio 1984, la fanciulla lo aveva raggiunto a San Patrignano (dove lo stesso stava tentando di disintossicarsi) chiedendo se avesse potuto restare anche lei, sentendosi rispondere che il centro era al completo. Tornata a Torino, quindi, incontra la mattina del 15 luglio la genitrice che le chiede aiuto per compilare delle pratiche per ottenere una casa popolare. Si sarebbero dovute rivedere il giorno dopo ma, la sera del 15, Giacinta viene vista dalle altre prostitute salire sull’auto di un cliente in corso Cairoli senza poi fare più ritorno.
Ma come è morta? E perché? E soprattutto, il colpevole è l’autore della lettera anonima? E chi è?
L’avanzato stato di decomposizione del corpo non permette, dal punto di vista scientifico, di ipotizzare se si è trattato di morte naturale o di omicidio ma la teoria più accreditata è quella di un’overdose durante un festino in compagnia di personaggi insospettabili col conseguente occultamento del cadavere. È per questo motivo che il 12 settembre vengono arrestate Maria Assunta Masiello, Isabella Farina e Anna Prinotti.
Le prime due sono le coinquiline della Zamparelli mentre la terza è un’altra ragazza di vita indiziata di favoreggiamento. Nel capo di accusa a loro carico si ipotizza che le due avrebbero fornito alla morta una dose d’eroina tagliata male mentre la stessa era nel loro alloggio con un cliente importante. A quel punto avrebbero messo il cadavere dentro una valigia, lo avrebbero caricato su una 124 Rally e lo avrebbero trasportato a San Gillio. Si sarebbero poi nascoste a casa della Prinotti per sottrarsi a polizia e carabinieri. Il movente sarebbe stato costituito dagli ingenti guadagni che Elena avrebbe fatto rispetto a loro e il fatto che l’uomo che era con loro quel giorno non potesse essere coinvolto in alcun modo nella vicenda.
Dopo un paio di mesi di carcere alla Farina torna in mente un particolare. Racconta che il giorno della scomparsa di Giacinta quest’ultima stette tutto il giorno con un medico e che, quella mattina, si alzò presto proprio per non fare tardi con lui. Un dottore quindi, un personaggio insospettabile che, per altro, col suo ricettario facilmente avrebbe potuto prescrivere stupefacenti alla giovane e che, si ipotizza, sarebbe sufficientemente istruito per redigere la lettera anonima arrivata ai carabinieri e avrebbe avuto la disponibilità di una macchina da scrivere del tipo di quella utilizzata.
Il medico, che ha 30 anni e si chiama Vincenzo Benitti (e che morirà un paio d’anni dopo in un incidente stradale) finisce in carcere nel gennaio 1985 ma verrà scarcerato poco dopo insieme alle tre prostitute. Gli indizi a loro carico, seppur suggestivi, non sono supportati dalla benché minima prova e non c’è modo di arrivare a processare nessuno degli indagati.
Da questo punto in avanti il buio totale. Nessuna nuova pista ha portato a nuove accuse e il nome di Giacinta Zamparelli è tornato sui giornali solo in alcuni articoli in cui vengono elencati i casi rimasti insoluti nella storia della nera torinese. Il caso della ragazza della valigia, se si è trattato d’omicidio, è rimasto comunque senza colpevoli.
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