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Ombre su Torino
24 Gennaio 2025 - 00:51
Si sono incontrati un giorno qualsiasi degli anni ‘70, non importa in fondo quale, in un istituto tecnico commerciale, il Sommeiller di corso Duca degli Abruzzi.
Lui è un funzionario di banca che si divide tra conti correnti e l’insegnamento di materie economiche alle superiori, lei frequenta un corso serale per diventare ragioniera. È difficile ricostruire la prima volta che si sono visti, gli sguardi che si sono scambiati, cosa abbia fatto sparire, improvvisamente e fatalmente, i 43 anni d’età che li dividono.
Non ci è data sapere la natura precisa del loro rapporto, ma l’uomo si era sposato una prima volta giovanissimo, con la moglie che aveva ottenuto l’annullamento dalla sacra rota per “matrimonio non consumato” e poi di nuovo qualche anno dopo.
Il suo rapporto col genere femminile è comunque quantomeno particolare. Nonostante sia coniugato, e nonostante i costumi dell’epoca, dopo che durante la Seconda Guerra Mondiale gli hanno bombardato casa, si è trasferito a vivere in una stanza di un convento dei padri filippini, in via Maria Vittoria 5. Non può vivere la sua relazione amorosa tra quelle mura e, infatti, anche il secondo matrimonio naufraga.
L’uomo lascia il convento, si trasferisce in un piccolo alloggio in Lungodora Savona 12 e, dal 1977, frequenta un’altra donna con cui, anche stavolta, non ha molta fortuna. Niente problemi sessuali o di difficile convivenza: la loro storia finisce nel 1979 per la morte di lei dopo una lunga malattia.
Da quel momento, nonostante abbia 82 anni, sembra che per l’anziano sia iniziata una vita tutta nuova. In pensione a 800 mila lire al mese, ha circa 200 milioni da parte e nessuna intenzione di riposare come ci si aspetterebbe. Luigi Romita, questo il suo nome, praticamente a casa torna solo per dormire.
Durante il giorno, a parte recarsi ogni tanto in convento per ritirare la posta che ancora arriva li e per sparire (e mai meglio che in questo caso, per fare cosa Dio solo sa) in una stanzetta che ha mantenuto pur essendo andato via, è sempre in giro per Torino.
Ha quattro o cinque amici di lunga data coi quali mangia fuori, vaga per i bar e con i quali spesso torna alticcio a notte fonda nella sua abitazione.
E poi ci sono le donne.
In Lungodora Savona 12 il viavai di fanciulle più o meno giovani è continuo. Alcune sono lì per delle ripetizioni, per preparare degli esami all’università o per ricevere una mano per diplomarsi ragioniere ma Romita è una compagnia graditissima per signore in cerca di piacevoli pomeriggi, anche solo per parlare, non necessariamente con doppi fini sessuali.
Luigi le abborda nelle sue scorrerie con i suoi attempati compari ma, soprattutto, attraverso numerosissimi annunci sui giornali ai quali riceve quasi sempre risposta. Romita non ha paura che qualcuna lo possa circuire o che gli possa fare del male, anzi, si muove sempre con prudenza escogitando di volta in volta diversi metodi con cui intrattenersi e fare entrare in casa solo chi realmente vuole frequentare. La portiera del suo palazzo, ad esempio, una delle poche persone di cui si fida ciecamente, ogni volta che arriva una ospite la accompagna alla sua porta bussando due volte a distanza di qualche secondo: ricevuto quel segnale l’uomo sa che può aprire.
Tra le tante c’è anche quella donna che ha conosciuto al Sommeiller. Non sappiamo come si siano tenuti in contatto negli anni che sono passati dal loro primo incontro, quante volte si sono visti nel corso del tempo o se tra loro ci sia stata una relazione stabile ma quel che è sicuro e che entrambi non si sono dimenticati l’uno dell’altra. Lui ha 88 anni, lei 45, ma non sembra importante.
Siamo alla fine del 1984 e la donna frequenta da qualche tempo l’abitazione dell’ex bancario. Romita le ha fatto vedere le decine di risposte ai suoi annunci che giungono da altre signore, gli ha spiegato il perché delle tante telefonate che riceve con dall’altro capo voci femminili. Lo deve accettare: è una in mezzo ad altre, non si facesse illusioni. Lei acconsente di buon grado, non fa trasparire fastidio né risentimento, sorride, si mostra accomodante, tornando spesso a trovare il suo vecchio professore anche solo per una chiacchierata.
Poi, però, cambia tutto all’improvviso.
4 febbraio 1985.
L’ex allieva di Luigi si presenta in Lungodora Savona 12 di mattina presto. Ha uno sguardo diverso dal solito, strano, difficile da decifrare. Non gli spiega perché si trovi lì a quell’orario così inusuale ma chiede subito all’anziano insegnante se la potesse accogliere qualche giorno.
Romita non lo può sapere ma la sua risposta affermativa avrà degli effetti disastrosi sulla sua nuova incredibile vita da single ultraottantenne. La sua ospite, infatti, dopo aver a lungo ragionato sulla situazione, è arrivata a una conclusione: se quel vecchietto sta cercando così alacremente una compagna con cui passare gli ultimi anni della sua vita, perché quella persona non posso essere io? La donna, più che comunicare le sue intenzioni all’ottuagenario, decide di passare immediatamente ai fatti. Non solo si parcheggia a casa sua senza alcuna intenzione di andar via ma inizia anche a mostrare crescenti segni di insofferenza per le chiamate che lo stesso riceve, arrivando ad impedirgli di uscire di casa sbarrandogli, fisicamente, la porta. Questo sostanziale sequestro di persona, tuttavia, non è il peggio che accade a Luigi Romita.
Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio Filomena Longino, la sua innamorata ex allieva, lo uccide.
Nelle sue parole gli eventi si sono svolti così.
Dopo l’ennesima litigata dovuta al fatto che lei non lo volesse in alcun modo far uscire dal proprio alloggio, l’uomo l’avrebbe aggredita sfilandosi la cintura e frustandola numerose volte. Per difendersi Filomena avrebbe preso un pesante orologio da tavola da un comodino e l’avrebbe colpito in testa. Luigi cade per terra ma si rialza prontamente per andare a medicarsi, facendo però l’errore di apostrofare la Longino con delle brutte parole “che si danno alle donne di strada e non alla propria compagna”. La quarantacinquenne allora afferra una sedia in legno e lo percuote finché una delle gambe si spezza diventando un bastone con il quale batterlo fino ad ucciderlo. Ma non finisce qui: non paga dello scempio compiuto, gli stacca la lingua e gli cava gli occhi con delle forbicine.
Ai magistrati che gli chiedono il perché risponde con agghiacciante semplicità: “Mi aveva insultato con parole cattive, per questo gli ho tagliato la lingua. Gli occhi? Glieli ho strappati perché era a terra morto ma continuava a fissarmi”.
Scoperto che la sera prima di presentarsi dal suo ex insegnante l’assassina era scappata dall’ospedale Mauriziano dove era ricoverata in psichiatria per l’ennesima crisi depressiva, gli inquirenti chiudono le indagini abbastanza rapidamente. Basta una perizia a confermare quello che a tutti era parso evidente al momento della sua confessione: Filomena Longino è totalmente incapace di intendere e di volere.
Condannata, nel settembre 1985, a 10 anni di reclusione presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, non si sa che fine abbia fatto una volta espiata la sua pena.
Chissà se almeno questo le avrà tolto dalla testa l’ossessione per il suo vecchio professore che ormai non può amare più.
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