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Ombre su Torino
05 Dicembre 2024 - 05:30
21 gennaio 1992 ore 20,20.
Carmine Gatta è il titolare di un ferramenta che si trova in via Madonna delle Rose 23, al Lingotto, Torino sud. Ha 36 anni, abita a Pino Torinese insieme alla fidanzata Valentina Spinello e non sa che, tempo mezzora, diventerà, suo malgrado, uno dei protagonisti di un una storia che è già iniziata e che finirà 15 anni dopo.
Carmine Gatta
Arriva davanti a casa alle 20,50 e qualcuno lo sta aspettando, anche se Carmine non lo può vedere.
Si accorge di quell’ombra solo mentre tira su la saracinesca del garage, ma è troppo tardi: quel personaggio svuota l’intero caricatore della sua 9x21 e cinque colpi lo prendono in pieno, uccidendolo sul colpo.
Le ipotesi sul movente sono svariate. È vittima di una vendetta? Era nel giro del gioco d’azzardo? Qualcuno sibila che avesse legami con Bernardo Chianello (un boss palermitano che era stato ammazzato e dato alle fiamme all’epifania) ma la verità si viene a sapere il 29 febbraio.
A sparare è stato un amico d’infanzia della vittima, Arrigo Candela. A lui la polizia è arrivata tramite un bigliettino che il morto conservava nel portafoglio e in cui era riportato il numero di targa della fidanzata del colpevole, Antonietta Biscotti. L’uomo se l’era appuntato perché, qualche settimana prima della tragedia, lo stesso aveva litigato con Candela davanti al suo negozio.
Il killer si era dimostrato troppo audace con la Spinello, Gatta era andato a chiedergli spiegazioni e dalle parole si era passati rapidamente alle mani e alle minacce di morte. Il commerciante si era segnato quel numero fosse mai successo di trovarsi davanti quella macchina, di notte, all’improvviso. Una terribile profezia che si è autoavverata.
Scoperto il legame affettivo tra la Biscotti e Candela, gli inquirenti, il 29 febbraio, si recano nella casa di Baldissero Canavese dove vivono ma non c’è nessuno.
O meglio, non ci sono esseri umani ma vengono trovati 20 gatti e 4 cani e, soprattutto, un vero e proprio arsenale. In mezzo a inneschi per bombe, cartucce di ogni calibro, fucili e mitra c’è anche la pistola dalla quale una perizia stabilisce siano uscite le pallottole che hanno abbattuto Gatta. Interrogati i vicini, nessuno racconta di aver sospettato di abitare vicino a un assassino ma, altrettanto, nessuno si stupisce di quel sequestro d’armi.
Ex guardia giurata, appassionato lettore di Nietzsche e di esperienze estreme di vita in mezzo alla natura, pare che Candela andasse anche a comprare il pane con la rivoltella nella cinta: lo chiamano “il Rambo di Baldissero”.
Arrigo Candela
Fuggito in Francia, viene intercettato telefonicamente mentre parla con la convivente, un giorno prima che sparisca anche lei. In mezzo a molti racconti da sbruffone (manco fosse veramente Stallone) si lascia scappare che aveva dovuto uccidere Gatta perché se no sarebbe stato l’altro a farlo e che, invece “l’altra volta, con quei due, nel bosco, era stato un incidente”. I due nel bosco sono Luigina Podio e Vincenzo Pilone. Erano stati fatti fuori mentre raccoglievano funghi, a Mazzè, il 18 ottobre 1991. Anche per questo episodio, fino a quel momento insoluto e senza movente, ad inchiodare il reo-confesso è il fucile a pompa che gli trovano in casa: è quello ad aver sparato alla coppia.
Da questo momento, il suo nome viene accostato a tantissimi omicidi con arma da fuoco rimasti senza colpevole in Piemonte. Viene sospettato, in totale, per la morte di altre 10 persone sparse tra le province di Torino, Asti e Cuneo. Tutte vicende in cui, a un certo punto, spuntano pallottole compatibili con quelle possedute da Candela ma per le quali non si raggiungeranno mai abbastanza prove a suo carico. Va diversamente, invece, oltralpe. Qui, mentre si sposta in fuga da una città all’altra, per finanziarsi la latitanza si dà alle rapine. Va tutto liscio in un paio di uffici postali ma, il 17 dicembre 1992 a Redon, in Bretagna, dopo aver rubato 40 mila franchi in banca viene inseguito e gettato a terra da un vigile urbano che si trova nei paraggi, Michel Macè. Mentre lottano, l’italiano tira fuori una pistola, gli spara 5 volte e lo finisce con un colpo di grazia in testa.
Ricercato da una task-force composta da 300 uomini della Gendarmerie, viene arrestato dopo due giorni in un bosco, sporco, sudato, affamato. Proprio come Rambo. Dopo quasi 4 anni di isolamento, va a processo nel febbraio 1996. In aula è accusato dell’assassinio di Macè e del tentato omicidio di un poliziotto contro cui ha fatto fuoco (dopo avergli rubato l’arma) durante un trasferimento da un carcere all’altro.
Viene condannato all’ergastolo con 18 anni di permanenza in una struttura di massima sicurezza. Acquisita tramite rogatoria la documentazione relativa ai suoi crimini italiani, la magistratura francese arriva ad imbastire il nuovo processo a suo carico ma non si arriverà mai in aula perché, nel 2007, muore in cella. Non esattamente la fine di un eroe di un film d’azione americano.
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