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Ombre su Torino
19 Novembre 2024 - 23:03
Basic Instinct è un celeberrimo film del 1992.
Narra dell’omicidio di una rock star uccisa durante un amplesso con un punteruolo da ghiaccio del quale (spoiler alert) viene accusata una scrittrice che, in un suo libro, ha messo in scena una situazione identica a quella avvenuta realmente.
Dal momento della sua uscita al cinema, il lungometraggio e Torino si sono trovate nello stesso universo di riferimento solo una volta. È il 2001 e, in un’altra opera cinematografica, Santa Maradona, all’interno di una libreria in via Monte di Pietà, il compianto Libero De Rienzo è “a lezione” dal coinquilino Stefano Accorsi. Questi lo trasporta in un intricato ragionamento sui “collegamenti” (qui questa scena imperdibile) al termine del quale viene citato proprio il lavoro con protagonisti Sharon Stone e Micheal Douglas.
Sharon Stone e Accorsi e De Rienzo
Poi, nel 2012, la pellicola e la città finiscono di nuovo una vicina all’altra in articoli che escono sui giornali di tutto il mondo. Perché questa storia sembra proprio quella del film ma, stavolta, il morto c’è scappato davvero.
È il 26 febbraio e le acque limacciose del Po, all’altezza del Parco Einaudi di San Mauro, restituiscono un corpo in avanzato stato di decomposizione. Probabilmente appena maggiorenne, di sesso femminile e dalla pelle nera, il cadavere appare gonfio come se fosse rimasto nel fiume a lungo, cosa che, tra l’altro, gli ha praticamente cancellato le impronte digitali.
Il luogo del rinvenimento
Effettuata l’autopsia, su quella che sembrava la salma di una suicida vengono trovate i segni di 20 coltellate. Gli inquirenti scoprono il nome della vittima ai primi di luglio, dopo lunghe e complicatissime indagini. Si chiama Anthonia Egbuna, ha 20 anni e di mestiere faceva la prostituta.
Anthonia Egbuna
Era sparita nel novembre del 2011 e della sua vita non si sa praticamente nulla, tranne che era arrivata in Italia nell’ottobre 2010 con una richiesta di asilo politico dalla Nigeria e che era finita a lavorare sulla strada dividendosi tra Carignano e Torino. La svolta al caso viene data dall’individuazione dell’appartamento della ragazza. Anthonia abitava in via Randaccio, a Borgo Vittoria, con una sua connazionale e collega di nome Joy Dirisu, anch’ella ammazzata e buttata nell’Agogna (vicino Novara) nel settembre 2011. Qui vengono rinvenute molte lettere scritte in italiano e in inglese e, soprattutto, un breve manoscritto di nove pagine intitolato “La Rosa e il Leone”. Questo narra di una prostituta che si chiama proprio Anthonia, che è nigeriana e che opera tra Torino e Carignano. Co-protagonista un suo cliente di Giaveno innamorato di lei e che ha gli incubi sognandola con altri avventori. Vorrebbe che lasciasse la strada per lui e, al suo rifiuto, la uccide con una fucilata e poi si suicida nello stesso posto in cui l’ha seppellita.
Una pagina del libro
L’autore di questi scritti viene individuato e arrestato il 16 agosto.
È un uomo di 34 anni che abita a Giaveno coi genitori e che si chiama Daniele Ughetto-Piampaschet. Laureato in filosofia, disoccupato, ha due grandi passioni: la scrittura e la Nigeria. Del paese africano ha tessuto le lodi in diversi racconti, ne ha fatto il centro focale della sua tesi di laurea e ci è andato a vivere per 5 mesi tornando in Italia, nel 2002, con una donna del posto che ha sposato e dalla quale ha divorziato 8 anni dopo. Si legge in una missiva da lui scritta: “L’Africa per me significava Nigeria. E Nigeria significava le donne. E le donne significavano le prostitute, così chiamate da tutti ma per me rappresentavano l’Assoluto in terra. L’Assoluto in termini di bellezza”.
Daniele Ughetto-Piampaschet
Si viene a sapere che tra Daniele e Anthonia c’è stata una relazione che è durata dal febbraio all’agosto del 2011 e che, nonostante l’uomo nel frattempo si fosse messo con un’altra, fossero comunque rimasti in contatto. A parte le suggestive similitudini tra la realtà e la novella da lui composta, ad accusare Piampaschet ci sono diversi indizi. Ipotizzata come data dell’omicidio il 28 novembre 2011, viene notato che, quel giorno, il suo cellulare e quello della vittima hanno agganciato la stessa cella telefonica (nei pressi del parco della Colletta, a Torino) e che poi i contatti sono finiti, nonostante nei mesi precedenti vennero contate 1900 telefonate tra i due.
DNA della vittima viene trovato sulla sua auto e viene ritenuto sospetto che, poco dopo il giorno dell’assassinio, lo stesso fosse partito per Londra, da dove torna dopo aver fatto il volontario alle Olimpiadi del 2012. C’è poi un altro elaborato a inguaiarlo. Lo trovano sul suo pc e si chiama “Il bracciale di corallo”.
Stavolta l’assassino compie il delitto con un coltello e la vittima fa la vera fine di Anthonia: “Era stata ingoiata dalle acque del fiume. Era morta di una morte atroce, accoltellata. Eppure lui, a distanza di giorni, non provava né pentimento né rimorso. Non riusciva a perdonarla”.
L’uomo, dal canto suo, nega decisamente. Racconta di aver smesso di frequentare la giovane dopo essere stato minacciato da persone che controllano lo sfruttamento della prostituzione e che sarebbero state proprio queste a farla fuori. Introduce nella storia riti voodo durante i quali Anthonia sarebbe morta e dopo i quali i feticci sarebbero stati nascosti in alcune chiese di Torino. Riferisce di aver saputo da un’amica della vittima che la ragazza “proveniva da una zona della Nigeria in cui, nel venerare una divinità delle acque, si sacrificavano degli animali, sgozzandoli, e si gettavano nei fiumi. Chi non rispettava i patti, chi non pagava i debiti, faceva quella fine. Lei temeva che Anthonia fosse stata punita così per avere tentato di ribellarsi e uscire dal giro”.
Aggiunge che, anzi, lui aveva solo tentato di aiutarla come aveva fatto già altre volte con altre schiave del sesso. Anche il padre conferma: “Portava le ragazze che raccoglieva sui viali anche a cena da noi e io gli dicevo che non poteva salvarle tutte. Nel 2011 ne aveva tolto dalla strada due e altre le aveva condotte al Serming, facendo sì che alcune di loro si inserissero socialmente affrancandosi da una misera esistenza. Aveva persino pagato riscatti per una sua precedente compagna. Il suo altruismo lo ha tradito, una sera è stato aggredito da persone armate di coltello ma non ha mai fatto denuncia".
In primo grado, nell’aprile 2014, nonostante la richiesta dell’ergastolo da parte del PM, Daniele Ughetto-Piampaschet viene assolto per non aver commesso il fatto. La sentenza viene ribaltata l’anno dopo, in appello, quando viene condannato a 25 anni e 6 mesi, ma poi la Cassazione stabilisce che il processo debba essere celebrato nuovamente. Questo avviene tra il 2018 e il 2019, quando, stavolta definitivamente, gli vengono comminati 25 anni di reclusione. A piede libero in attesa dell’ultimo grado di giudizio, lo scrittore si dà alla latitanza ma viene arrestato dopo due mesi di fuga. Lo trovano in una casa di Giaveno, poco lontano da quella dei genitori, con 11mila euro in contanti, un cambio e una bibbia. Avrebbe dovuto raggiungere Terrasini (vicino Palermo) dove la famiglia ha un alloggio e poi da lì imbarcarsi per l’Africa.
L’Africa, la sua passione, la sua ossessione. Fatale, per lui e, soprattutto, per una povera ragazza dimenticata e invisibile di nome Anthonia Egbuna.
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