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Ombre su Torino

Il delitto perfetto di Torino: la lettera, il cadavere e il fantasma di Diabolich

Una storia vera tra enigmi, sangue e mistero: il caso Giliberti e l’assassino che sfidò la polizia per poi svanire nel nulla

Un omicidio a Vanchiglia e un fantasma che si aggira per la città
«Sono venuto da lontano per via
di compiere il mio delitto, da non confon-
dersi con uno qualsiasi. Ho studiato la cosa perfetta
in modo da non lasciare traccia ne-
anche di un ago. Con il delitto è cessato insi-
eme l’odio per lui. Questa sera parto alle ore 20.
Un tempo io e la vittima eravamo molto amici e portavamo la divisa insieme. Poi lui mi tradì come fossi un cane. Oggi stava bene, e così la mia vendetta lo ha raggiunto. Spero che scoprirete il suo cadavere prima che diventi marcio. Leggendo con attenzione la lettera troverete con precisione dove è stato compiuto il mio delitto perfetto».
 
Quando il 24 febbraio 1958 questa lettera (qui riportata con le parole a capo esattamente come in originale) firmata “Diabolich” arriva alla redazione di Stampa Sera nessuno la prende sul serio. Viene messa da parte, chissà, magari in una scatola insieme a tutti i messaggi dei mitomani.
In un mondo parallelo, l’operaio della FIAT Mario Giliberti è sparito da qualche giorno. Ha 27 anni, viene dalla provincia di Foggia ed è un ragazzo schivo e tranquillo.
    
Non ha una casa dove abitare a Torino, e quando il giorno dopo l’arrivo della missiva al giornale, il suo caporeparto si decide di andare a cercarlo arriva fino ad una bottega di un calzolaio. Si scopre che il negozio è di un suo zio e che il ragazzo vive nel retro da qualche tempo. Aperta la porta, lo spettacolo è agghiacciante: Mario è riverso nel letto in una pozza di sangue ucciso da 18 coltellate.
 
Il cadavere è lì da almeno 10 giorni e non a caso vengono trovate due tazzine da caffè di un bar del quartiere, dove la vittima è stata vista l’ultima volta il 14 febbraio. Intorno al corpo ci sono una serie di foto che ritraggono il morto insieme a un’altra persona ma il viso di quest’ultima è stato strappato. Ci sono circa 200 mila lire in buoni postali tagliuzzati e un biglietto che recita “Riuscirete a trovare l'Assassino?”.
 
 
La mano che l’ha scritto sembra la stessa e il collegamento con la lettera anonima diventa evidente dopo aver analizzato, con fare da enigmistica, il testo. Unendo le parti finali di ognuna delle righe, infatti, appare davanti agli inquirenti “VIA-FON-TA-NE-SI 20” che è esattamente l’indirizzo del luogo del delitto, nel quartiere Vanchiglia.
 
Il caso diventa di dominio pubblico e scatena una serie infinite di supposizioni, lettere anonime, mitomani che chiamano e scrivono ai giornali. Si viene a sapere dell’esistenza di un libro giallo di quart’ordine (uscito un anno prima) che si intitola “Uccidevano di Notte”. In questo un uomo dopo ogni omicidio invia lettere piene di indizi alla polizia. Si firma “Diabolic”, senza l’h.
 
In città esplode il panico e tutti credono di vedere il fantasma dell’assassino dietro alla temporanea sparizione di un parente o ogni volta che si trova un cadavere, anche deceduto per morte naturale. Alcune mamme a Torino, per spaventare i bambini più turbolenti, non usano più il proverbiale uomo nero, il Babau: tanti si sentono dire “se non la smetti chiamo Diabolich”.
 
La caccia all’assassino di Mario Giliberti parte dalla prima lettera anonima. Si legge di un torto subito e del fatto che vittima e assassino portavano la divisa insieme. Nel portafoglio del morto vengono trovate alcune foto relative al periodo del suo servizio militare e anche quelle trovate strappate per terra sono dello stesso periodo. La polizia ipotizza che il delitto sia avvenuto nell’ambito di una relazione omosessuale clandestina e che all’origine potrebbe esserci la minaccia di Mario di rivelare quell’amore segreto nell’Italia bacchettona di fine anni ’50.
 
 
Viene fermato un ragazzo di Bergamo che si chiama Aldo Cugini. Lui e Giliberti hanno fatto il militare insieme e, interrogando alcuni commilitoni, salta fuori molti sospettavano di una loro relazione amorosa. Di più, si scopre che i due erano in contatto anche con un terzo ragazzo. Spregiativamente venivano soprannominati “Le tre monachelle”. Non si è mai arrivati a identificarlo.
 
In mancanza di piste alternative Cugini viene arrestato e una perizia calligrafica lo incastra: è lui l’autore della lettera anonima. Gli avvocati difensori dell’uomo, però, non ci stanno, soprattutto perché, dopo qualche giorno, iniziano ad arrivare delle nuove missive.
 
 
Arrivano da Vicenza e, se non bastasse il timbro sulla busta, nel testo ricomincia il giochetto.
“Sono arrivato.
VI do la traccia.
CENto saluti e pazienZA. DIABOLICH”.
 
I periti della difesa convincono i giudici, è la mano dell’assassino. Cugini viene scagionato, ma passeranno 4 mesi e mezzo prima che venga scarcerato. L’ultima lettera dell’assassino, anche questa autenticata come assolutamente da attribuirgli, è quella del commiato.
“Il mio delitto non è un gioco da ripetersi”.
 
Sarà l’atto finale. Dopo questa Diabolich non si farà più vivo e piano piano anche i mitomani smetteranno di scrivere alla polizia e ai giornali. Nel frattempo, lentamente, l’omicidio del povero Giliberti finisce nel dimenticatoio.
 
Non c’è un movente, l’assassino ha lasciato poche e selezionate tracce ma nessun indizio vero. Si è preso gioco della polizia, ha messo in scena l’omicidio perfetto, ha attirato tutte le attenzioni a sé e poi è sparito nel nulla, come un fantasma. Il suo nome non verrà mai scoperto ma le sue gesta rimarranno nella leggenda. Addirittura, in USA, il famoso serial killer Zodiac (attivo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70) si ispirerà direttamente al suo “collega” torinese, facendo impazzire la polizia con le sue enigmatiche lettere.
 
 
Ma soprattutto, nel 1962, due sorelle milanesi, Angela e Luciana Giussani, sono alla ricerca di un personaggio per il loro nuovo fumetto. Deve essere un imprendibile, scaltro, furbo, intelligentissimo. Che si intenda di armi da taglio ma che utilizzi più il cervello delle mani. Che sembri un fantasma e che incuta terrore non appena qualcuno vede la sua sagoma nera.
 
 
 
Le due donne allora si ricordano di quell’oscuro personaggio che terrorizzò Torino qualche anno prima ed è così che ha inizio la leggenda di Diabolik (con la k).
 
 
 
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