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Lo stiletto di clio
02 Settembre 2024 - 23:20
IN FOTO Cosi appariva Torino il 17 agosto 1943, dopo il bombardamento della notte precedente.
Per Torino, quella del 1943 fu un’estate rosso fuoco. A causa dei bombardamenti aerei organizzati dal Bomber Command della Raf, la Royal Air Force, che forniva un appoggio indiretto alle operazioni degli Alleati dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio.
Per la notte fra lunedì 12 e martedì 13 luglio, scartata Bologna, il maggior nodo ferroviario dell’Italia settentrionale, perché troppo lontana dalle basi in Gran Bretagna, il Bomber Command programmò la più distruttiva di tutte le incursioni contro il capoluogo piemontese. Centinaia di quadrimotori scaricarono poco meno di ottocento tonnellate fra bombe di ogni tipo e spezzoni incendiari, compresi otto blockbuster (ordigni da demolizione) del peso di ottomila libbre e ben duecentotré da quattromila. Il colpo fu durissimo: quasi ottocento morti e oltre novecento feriti. Riportarono danni le grandi fabbriche, i palazzi e le chiese del centro cittadino (il duomo, San Lorenzo, Santa Teresa, il Corpus Domini, San Domenico, ecc.), il Teatro Carignano, il cimitero generale e così via.
Verso Settimo, nella Barriera di Milano, vennero distrutti o lesionati centinaia di edifici, fra cui lo stabilimento Grandi Motori della Fiat e la chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Pace (corso Giulio Cesare). Ingentissimi danni si registrarono nelle vie Monte Rosa, Sesia, Malone e Candia.
«Solito spettacolo di incubo dell’indomani delle incursioni: gente errante per le strade con carichi di masserizie, mancanza totale di tram, fumigar di incendii da tutte le parti, zampilli d’acqua in mezzo alle strade», annotò il giovane Carlo Chevallard (1913-1974) nel proprio diario.
Torino dopo il bombardamento del 13 luglio 1943
A Settimo, le campane e le sirene diedero il segnale di allarme quando mancavano venti minuti alle due del mattino, poi si attese invano che dalla città comunicassero il cessato pericolo. Le linee telegrafiche e telefoniche erano tutte interrotte; in lontananza si scorgeva Torino che bruciava. «Il nemico – comunicò il podestà Aldo Barberis al Comitato protezione antiaerea della Prefettura – ha gettato nel territorio del Comune numerosi spezzoni [...] che hanno causato l’incendio e la pressoché totale distruzione della cascina Castelverde».
Nei giorni successivi, continuando a non funzionare né i telefoni né il telegrafo, i segnali di allarme perverranno dal comando della Maca (la Milizia artiglieria contro aerei), presso la borgata Fornacino. Attorno alla cascina Caffadio si ritroveranno diversi ordigni, fra cui due bombe di grosse dimensioni, una delle quali con «la materia incendiaria […] pressoché al completo», essendo esplosa la sola carica di scoppio. «Si sono notate […] – segnalò il podestà – numerose buche nel terreno […] che denotano la caduta di spezzoni incendiari, […] interrati completamente. Un ordigno della capacità di litri tre, inesploso, non è interrato».
Come se non bastasse, il 19 luglio, il questore Federico Rendina telegrafò al podestà Barberis per avvertirlo che nuclei di paracadutisti nemici, segnalati in diverse zone, avrebbero potuto compiere sabotaggi. Di conseguenza era richiesta la massima vigilanza, principalmente in quelle zone della campagna dove non si escludeva che i paracadutisti cercassero accoglienza, dissimulando la propria identità. Carlo Chevallard riferisce che due erano già stati presi a Sciolze, due a San Mauro e «diversi altri nei dintorni». Nonostante tutto, per dovere o per inclinazione, molti si sforzavano d’illudersi che la vita seguitasse a fluire abbastanza normalmente. Sabato 24 luglio 1943 Lucia Cravero, direttrice della Colonia elioterapica «Luigi Origlia» di Settimo, registrò nel proprio diario che il suono delle sirene di pericolo aveva impedito le consuete consegne dei prodotti ittici da Torino. Ma gli ottantaquattro bambini a lei affidati non si erano accorti di nulla, essendo stata distribuita purea di patate in abbondanza.
Caduto il fascismo, il 25 luglio 1943, gli inglesi non interruppero i bombardamenti a tappeto sull’Italia per spingere il governo del maresciallo Pietro Badoglio all’armistizio. Torino fu colpita tre volte, sempre di notte, il 7-8, il 12-13 e il 16-17 agosto. Il secondo raid destò vivissima commozione poiché gli ordigni devastarono il santuario della Consolata.
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