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Ombre su Torino

L'omicidio del fisico Gerard Wiegman

Un flirt estivo che finisce in tragedia.

L'omicidio del fisico Gerard Wiegman

L'omicidio del fisico Gerard Wiegman

Un’aria carica di silenzio è appena stata squarciata da due enormi boati.

Sono circa le 22 del 24 settembre 1975 e a quei tempi, in un mercoledì qualsiasi, in via Principe Amedeo non c’è anima viva. Anche se a Torino sta diventando triste consuetudine, i due spari hanno destato la maggior parte degli abitanti dei numeri civici 14 e 16.

Un testimone dal balcone riesce a vedere un’ombra che si allontana ma prima che intervenga qualcuno passano molti minuti, tantoché il primo soccorritore, il custode della Camera del Lavoro Blandino Guastaldello, vedendo un uomo a terra pensa ad un ubriacone che si è addormentato. Prova a scuoterlo, a svegliarlo, finché non si trova le mani piene di sangue. Un proiettile lo ha colpito alla schiena ed è uscito dalla gola, uccidendolo in pochi istanti.

Il luogo del delitto

Il caso sembra subito molto complesso perché accanto alla vittima viene trovata una 24 ore con dentro un paio di agendine fitte di nomi e moltissima documentazione in olandese e francese. Si pensa a un delitto politico, allo spionaggio industriale o allo spaccio internazionale di droga.

In mezzo a tante carte c’è anche il passaporto dell’uomo. È un cittadino olandese di 40 anni che di mestiere fa il fisico ma che gira il mondo come esperto di computer: si chiama Gerard Jean Marie Wiegman. Scavando ancora spunta fuori una fotografia. Ritrae una donna che prende il sole in costume, al mare, e sul retro c’è una dedica: “Ti amo, Fiorella”.

Due mesi prima.

Non appena lo ha visto, nella sua testa, si sono aperte le porte del paradiso.

Lo ha conosciuto per caso al mare, a Finale Ligure, perché è sceso nella sua stessa pensione, Villa Pia. Si sono incontrati il 9 di giugno e fino al 20 luglio hanno vissuto sostanzialmente in simbiosi, anche perché è andata da quelle parti senza il marito, con il quale, praticamente, sta insieme solo per non fare soffrire il figlio di 11 anni.

È come se fosse tornata ad essere una quindicenne.

Quell’uomo è incantevole, garbato, pieno di spirito e di fascino. La sua voce la ammalia, le fa sognare un futuro insieme, magari in campagna, nel verde che entrambi adorano alla follia.

Il suo è un amore platonico, intellettuale. Non si osa a sfiorarlo con un dito, non osa neanche immaginare di poterlo fare ma questo non significa che non sia ricambiata. Quel quarantenne sempre in giro per il mondo sembra sognare un domani con lei, addirittura sono andati a vedere una villa in riviera dove fuggire, un giorno.

Le vacanze finiscono ma si tengono in contatto. Si chiamano al telefono, si inviano foto e lettere e, in una di queste, lui le dice che tornerà in Italia perché deve andare per affari a Parma e che si fermerà a Torino il 24 e il 25 settembre. “Sarò contento se potremo incontrarci” è l’ultima frase scritta sulla missiva.

Gerard Wiegman

Due mesi dopo.

La traccia della fotografia si rivela quella corretta. Tra le migliaia di contatti di Wiegman c’è anche la protagonista dello scatto, Fiorella Lepore. La donna abita in una villetta a San Carlo Canavese ed è qui che la polizia va a cercarla qualche ora dopo il delitto. Non trovano lei ma il marito e questi riferisce agli inquirenti che quel giorno non è tornata a casa. Lo ha accompagnato con la sua auto in ufficio e poi gli ha detto che sarebbe andata a Torino per delle commissioni, sparendo nel nulla.

Vengono setacciati i registri di tutti gli alberghi del capoluogo quando, intorno alle 10 del 25 settembre, il cognome Lepore viene rintracciato tra gli ospiti dell’albergo Primula di piazza Carignano 8. Il maresciallo Mari e i brigadieri Siviero e Titone arrivano nell’hotel mezzora dopo, chiedendo alla padrona di andare a bussare alla camera della donna. “Gli dica che c’è un suo cugino” le suggeriscono. Al rifiuto di aprire, i militi decidono di sfondare la porta, trovandosi davanti a una scena inquietante.

Fiorella è seduta sul letto con una copia de La Stampa (aperta alla pagina della cronaca del delitto) sulle gambe e una rivoltella nelle mani. Non dice una parola, si punta la pistola al petto e spara. Forse all’ultimo ha cambiato idea, forse le è tremata la mano ma la canna sobbalza e il colpo diretto al cuore si conficca in una spalla.

La Lepore non perde conoscenza e, una volta bloccata e caricata in ambulanza, attacca con una confessione al limite del delirante.

Fiorella Lepore in barella

Racconta del bellissimo periodo di villeggiatura passato con Wiegman, di quel rapporto casto ma incredibilmente coinvolgente, delle telefonate, delle lettere d’amore, dei progetti futuri.

Il movente starebbe nel fatto che l’uomo le avrebbe detto che voleva che scappasse con lui, in Olanda. “Se lo avessi seguito avrei dovuto abbandonare mio figlio. Quell’uomo mi ha sconvolto la vita e mi sono trovata a un bivio: ho pensato che l’unica possibilità per uscire da questa situazione fosse ucciderlo” questa la sua spiegazione.

Il fatto è che le indagini svelano che il loro rapporto, nella realtà, era un po’ diverso rispetto alle fantasie di Fiorella. Ha costruito un amore inesistente, trasformando un’amicizia in un flirt travolgente.

Nell’ultima lettera che il fisico le scrive, ad esempio, si nota chiaramente che questi le si indirizza come si farebbe a un conoscente. Le parla dei suoi problemi di lavoro, dei suoi viaggi d’affari, senza fare cenni alla loro incredibile storia balneare. La chiusa è la più distaccata possibile: “Ricordo sempre la tua cara compagnia, ti ricordo sempre con piacere”. Non esattamente un amante folle di passione.

Malgrado una perizia che la giudica sana di mente, Fiorella Lepore viene rinchiusa nel manicomio criminale di Reggio Emilia, in attesa del processo.

La sentenza definitiva arriva il 26 gennaio 1979. Nonostante la corte la ritenga in grado di intendere e di volere, il difensore, l’avvocato Canestrini di Rovereto, riesce a colpire profondamente la giuria. Racconta di quando la sua cliente, da bambina, era stata tenuta per ore prigioniera dalle SS con un mitra puntato alla testa e le mani alzate. Un episodio che avrebbe lasciato delle tracce indelebili nella sua psiche. La donna viene condannata a 14 anni.

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