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Per chi suona la campana
16 Giugno 2024 - 07:00
Anche nella Chiesa è in atto da almeno un decennio una rivoluzione linguistica che non è soltanto l'inseguimento delle mode e del nuovo modo di esprimersi dei giovani, ma rinvia ad una più profonda desemantizzazione, un fenomeno per cui un termine perde o altera il proprio significato originario.
Prendiamo allora la parola peccato, che è offesa a Dio e trasgressione della legge divina. Sant'Agostino definiva il peccato Aversio a Deo et conversio ad creaturas, un voltare le spalle a Dio per dirigere la propria intenzione agli uomini, volgendosi dal bene immutabile, che è Dio, ad un bene commutabile - sostituibile - con altri beni, come è proprio delle creature. Oggi, nella predicazione, è sempre più difficile che si parli di peccato, sostituito da termini più politically correct come «fragilità», «non raggiunta maturità», «caduta» oppure, molto più frequentemente, non se ne parla proprio più.
Il mutamento sostanziale nella dottrina della Chiesa e le conseguenze fatali che la sparizione del concetto di peccato e di colpa comportano anche nella società furono colte con lucidità da Benedetto XVI: «Il tema del peccato è uno dei temi su cui oggi regna un perfetto silenzio. La predicazione religiosa cerca di evitarlo accuratamente. Il teatro e il cinema utilizzano il termine in senso ironico o come tema di intrattenimento. La sociologia e la psicologia cercano di smascherarlo come un'illusione o un complesso. Persino il diritto tenta di fare sempre più a meno della nozione di colpa e preferisce servirsi di una terminologia sociologica che riduce l'idea di bene e di male a un dato statistico e si limita a distinguere tra comportamento normale e comportamento deviante. Ciò implica che le proporzioni statistiche possono anche capovolgersi: quel che oggi è la deviazione può diventare la regola, anzi forse bisogna addirittura tendere a fare della deviazione la norma. Riducendo così tutto alla quantità, la nozione di moralità scompare».
Vengono in mente le parole di Raskol'nikov, il protagonista di Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, sull'uomo odierno che «non conosce alcuna misura, non vuole riconoscerne alcuna perché vede in essa una minaccia alla propria libertà».
Perso il senso del peccato e non sapendo più cosa sia, oggi quei pochi che ancora vanno a confessarsi - lo dicono i preti - non sanno più cosa dire. Nell'epoca del narcisismo di massa ci si sente in colpa per non essere riusciti a dimagrire, non apparire come si vorrebbe essere, non suscitare attenzioni negli altri, non avere i mezzi per togliersi ogni soddisfazione, etc., ma non per aver trasgredito il Decalogo, che secondo la visione cristiana ci priva della libertà, perché il tema del peccato è proprio quello della libertà.
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