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Qualcosa di sinistra
28 Maggio 2024 - 09:25
Il tentativo della Giorgia nazionale si può catalogare come il Colpo grosso nella versione della commedia hollywoodiana del 1960, nella quale un gruppo di simpatiche canaglie progetta e mette a segno un grosso colpo ai danni di cinque case da gioco, o anche come il Colpo grosso di berlusconiana memoria.
Lo scollacciato show della tivù commerciale delle fine anni Ottanta del secolo scorso dove si vince l’intero montepremi (il cosiddetto colpo grosso) o – per consolazione – si rimane campione in carica per la puntata successiva.
Ecco la questione: fare il botto e rimanere in carica per la puntata successiva.
Sul cosiddetto premierato, la Giorgia nazionale ha ricevuto l’avvertimento dalla senatrice Liliana Segre, conosciuta anche per non avere tema del nuovo, vedi il flirt con l’influencer (ora in caduta libera) al binario 21 della stazione centrale di Milano.
In Aula, l’altro giorno, la senatrice Segre, dopo aver ricordato «le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016», ha detto di «ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese».
Usando una bella metafora, la senatrice ha chiarito che «il legislatore che si fa costituente è chiamato ad un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che, per usare le parole di Leopardi, “dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”».
Per dirla più prosaicamente, si tratta di guardare oltre gli interessi di bottega.
Con tutto il rispetto possiamo dire che, seppure sia un intervento non rituale, quello della Segre è destinato ad essere archiviato, messo in soffitta (con tutti i riguardi per carità!) dalla Giorgia nazionale che ha fatto del premierato la sua personale scommessa.
Per ragionare sul sicuro, ecco in sintesi i contenuti principali della legge di riforma, la cui relazione introduttiva è priva di argomentazioni e si limita a riassumere le modifiche.
Con l’articolo 1 si abroga la facoltà del presidente della Repubblica di nominare i senatori a vita e con l’articolo 2 si prevede l’abbassamento del quorum per l’elezione dello stesso presidente.
Con l’articolo 3 «si sopprime la facoltà del presidente della Repubblica di sciogliere una sola delle due Camere» e, infine, si deroga al divieto discioglimento delle Camere nell’ultimo semestre del suo settennato, il cosiddetto «semestre bianco».
Basterebbe questo a smentire le rassicurazioni della presidente Casellati circa la riduzione del ruolo e dei poteri del presidente della Repubblica, un «declassamento drastico» di nuovo rappresentato efficacemente dalla senatrice Segre con la metafora del presidente «fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare».
Dei senatori a vita la destra vuol liberarsi: revanscismo culturale e contrarietà alla loro facoltà di partecipazione al voto, che altererebbe la volontà del corpo elettorale.
D’atra parte, le perorazioni dell’opposizione che – in aula – ha riferito degli altissimi meriti dei numerosi senatori a vita transitati a palazzo Madama, appaiono una modesta difesa d’ufficio. Una sola proposta mi è sembrata degna di nota, perché potrebbe costituire un buon compromesso: consentire l’esistenza dei senatori nominati dal presidente senza la facoltà del voto di fiducia.
Per le altre modifiche e del dibattito che seguirà, avremo tempo di parlare.
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