Una Renault 4 con cinque giovani a bordo arriva in via Paolo Veronese, Madonna di Campagna, periferia nord di Torino. Si ferma ad un distributore di benzina della Total nei pressi dell’Istituto Tecnico Aeronautico Carlo Grassi e di fronte a un bar, il Bar dell’Angelo.
Scendono in quattro: due entrano nel bar e due rimangono fuori sul marciapiede a parlottare.
I due dentro ordinano un paio di amari e chiedono del proprietario ma la moglie, in quel
momento dietro al bancone, gli riferisce che è andato un attimo a portare i caffè ai bidelli della scuola.
Passano un paio di minuti e i ragazzi lo vedono attraverso le finestre del locale: sta attraversando la strada con un vassoio in mano.
La signora Francesca ha nel frattempo preparato gli amari e lo dice ai due clienti ma quelli non la stanno a sentire. Fissano il barista e lo seguono con lo sguardo finché non appoggia il vassoio sul bancone di fronte a loro.
28 febbraio 1979, ore 11.
Carmine Civitate, 38 anni, è un ex camionista calabrese che da qualche mese lavora in un bar ma che pensa in grande. Le carte sono pronte e, tempo qualche mese, il proprietario, il signor Villari, gli cederà l’attività. Quella mattina, mentre due ragazzi di 20 e 29 anni di nome Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni entrano per prendere un caffè, sta dormendo nel retrobottega. Ha attaccato presto, intorno alle 6, perchè in quel bar, il Bar dell’Angelo, il viavai è continuo.
Viene svegliato all’improvviso da una serie di boati: all’interno del locale è scoppiato l’inferno. I due giovani, infatti, non sono clienti qualsiasi ma due terroristi di Prima Linea. Hanno nel mirino il presidente della circoscrizione del quartiere Madonna di Campagna, Michele Zaffino.
Gli devono sparare alle gambe, gli devono far pagare quel questionario antiterrorismo che ha fatto distribuire richiedendo alla cittadinanza se qualcuno avesse da segnalare qualche persona sospetta. Non fanno in tempo perché quella mattina due poliziotti gli chiedono i documenti all’interno bar e loro rispondono sparando. Sparano tutti: un agente rimane gravemente ferito e se la caverà mentre Matteo (nome di battaglia Charlie) e Barbara (“Carla”) rimangono uccisi sul colpo.
Anche al Bar dell’Angelo è accesa la radio. Le trasmissioni vengono interrotte da un’ultim’ora. Una telefonata ha attirato una volante della polizia in un bar di Via Millio 64/A, Borgo San Paolo. Chi chiama dice di aver trattenuto un ladruncolo che ha provato a rubargli l’autoradio.
Quando la pattuglia arriva sul posto viene investita da una pioggia di piombo. È una trappola ed è stata organizzata da Prima Linea per vendicare Carla e Charlie. L’azione dura un paio di minuti e lascia sul terreno ferito un poliziotto e un terrorista che viene portato via in macchina.
Il volantino di rivendicazione lasciato sul luogo della sparatoria
All’interno del locale solo un fortissimo odore di polvere da sparo, i vetri rotti dai proiettili e decine di volantini con i visi dei due ragazzi morti dieci giorni prima.
La vendetta fallisce e la tragedia vera si scopre uscendo in strada. Emanuele Iurilli, 18 anni, è morto colpito da un proiettile vagante. Stava tornando a casa, abitava proprio sopra quel bar maledetto e non ha fatto in tempo a nascondersi tra le macchine.
Stava tornando a casa dopo la scuola. Frequentava l’Istituto Tecnico Aeronautico Carlo Grassi, di fronte al Bar dell’Angelo.
Carmine Civitate spegne la radio ma non smetterà di pensarci per tutto il giorno.
I due giovani che hanno ordinato l’amaro si vedono il proprietario del bar davanti che posa il vassoio sul bancone. Non aprono bocca e uno di loro gli spara una volta in testa e due al petto.
Pochi minuti dopo arriva una telefonata all’ANSA: “Abbiamo giustiziato il boia Villari, in piazza Stampalia. Onore al compagno Matteo Caggegi e alla compagna Barbara Azzaroni”. Il redattore dell’agenzia risponde che il morto non si chiama Villari, freddo il telefonista replica: “E’ il padrone del bar forse abbiamo sbagliato cognome, ma lui è quello”. Il redattore aggiunge: “Il morto si chiamava Civitate”. Il terrorista: “Può darsi, allora è il signor Civitate”.
Prima Linea ha sbagliato bersaglio.
Carmine Civitate, infatti, ai tempi della sparatoria del febbraio 1979 non era il proprietario del bar. Di più, si scoprirà che la telefonata che quel giorno portò la polizia a chiedere i documenti ai due terroristi non la fece manco lui.
Al processo sarà il titolare della tabaccheria di fronte a dire di averla fatta.
DELLO STESSO AUTORE